LA CANZONE “RAGAZZO OMBRA”

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Una proposta didattica sui temi della pace per l’insegnamento della religione Cattolica nella secondaria di secondo grado


Gli insegnanti sanno che la musica può essere uno strumento molto potente per trasmettere messaggi e stimolare riflessioni profonde nei giovani studenti.
È proprio questo l’obiettivo del brano Ragazzo Ombra del chitarrista Michele Cristofaro, che si propone di essere un testo-progetto per la didattica dell’Irc al fine di promuovere negli studenti il senso etico della responsabilità e la pace in un mondo purtroppo contraddistinto da guerre sanguinose. Intorno al testo della canzone è stata incentrata la tesi della Laurea magistrale in Scienze religiose conseguita dallo stesso Michele presso l’ISSR “Santi Apostoli Pietro e Paolo” di Capua e che ha avuto come relatrici le prof.sse Pina Ianniello e Assunta Scialdone.
Presentiamo, dunque, in questa rubrica della rivista “Buongiorno IRC” la proposta didattica di una lezione interattiva sui temi della responsabilità e della pace in un mondo segnato da conflitti e violenze. L’attività elaborata da Michele Cristofaro valorizza il canale musicale così da riuscire a parlare più facilmente al cuore e alla coscienza dei ragazzi al fine di generare in essi un’apertura maggiore all’amore del prossimo, volando più alto del male.
Michele presenta la storia di un ragazzo che, passeggiando per la sua città, si accorge dell’assenza del verde e della presenza di numerose costruzioni abusive, dove la malavita ha costruito il suo regno. Rassegnato, il ragazzo si chiede perché anche nella sua città ci sia il male. Il ritornello del brano è un invito a trovare il coraggio e la forza di non arrendersi mai, uscendo dall’ombra in cui la società e l’umanità ci costringono a vivere. Solo aprendo il nostro cuore all’amore, si può evitare il male e si può vedere la luce in questo mondo.


Abbiamo chiesto a Michele del perché del termine “ombra”. “L’ombra – spiega l’autore – mette in evidenza un ragazzo che nella sua adolescenza ha visto cambiare la sua città in cui viveva, per poi da grande vedere e toccare con mano le atrocità della guerra. Il protagonista del brano capisce che se anche quelli che noi chiamiamo eroi di pace e di giustizia sono scomparsi, ciò che ci hanno trasmesso e lasciato non può morire. Pertanto – conclude il chitarrista – la canzone è un inno alla luce, ad amare, sentimento che il ragazzo non aveva mai cercato”.
Sono decenni che artisti e cantanti denunciano a suon di note la “stupidità” di chi si fa promotore di efferati delitti contro l’infanzia e i bambini attraverso la guerra e nello scenario internazionale oggi ricordiamo molti brani come Zombie dei Cranberries, o War is over di John Lennon, o ancora Il mio nome è mai più di Ligabue, Piero Pelù e Jovanotti. Anche il brano di Cristofaro prova a farsi interprete di quel grido contro ogni forma di violenza che scaturisce dal conflitto tra gli uomini. Nel video clip della canzone realizzato assemblando le performance musicali degli artisti della band eseguite a distanza, emergono contrastanti le “ombre” di un mondo di “guerre e di sangue” e gli esempi di giustizia e di pace, con espliciti riferimenti a Madre Teresa di Calcutta, Nelson Mandela, Don Peppe Diana, i magistrati Falcone e Borsellino. Mediante un sottofondo rock in crescita si passa dall’immagine dei soldati che combattono in una città distrutta, devastata dalle bombe, rasa al suolo e piena di macerie, a quella di un ragazzo che nell’ombra, seduto su un muretto, anche se appare come un “invisibile” è invogliato a cercare la pace, la luce, a combattere con coraggio per riemergere dal baratro della mentalità distruttiva che porta gli uomini all’autoannientamento, alle povertà, alle miserie, alla fame. Insomma l’eterno duello tra il bene e il male, tra la luce della vita e le ombre della morte che fanno da sfondo al richiamo a non disperare.
Attraverso un rock ritmato e struggente, ritornelli che si ripetono e nei giochi sonori tra toni e volume, tra suoni aperti e acuti si vuole rompere il silenzio delle coscienze di fronte alle scene di osceni orrori che recepiamo attraverso i media o che vengono constatate sul campo per mezzo delle più disparate missioni di pace.