La ricerca è stata presentata nel gennaio 2023 in Senato dal sociologo Mauro Magatti, dell’Università Cattolica di Milano, dal presidente ISTAT Gian Carlo Blangiardo e da Tiziano Treu presidente CNEL. I ricercatori hanno scelto il surplace, la tecnica di rimanere in equilibrio in bicicletta, per descrivere la situazione economico-sociale del Paese, alla luce di una prospettiva “generativa” che cercheremo di puntualizzare meglio dopo aver analizzato i punti salienti del rapporto.
Il surplace è l’immagine dell’Italia che viene fuori da questo primo Rapporto (il cui titolo completo recita: Italia in surplace. Dalla dispersione intergenerazionale all’ecosistema generativo). Lo studio fa riferimento a questa efficace metafora sportiva per offrire l’immagine di un Paese che, alla fin fine, spende le sue migliori energie per restare in piedi senza cadere, ma anche senza quella spinta necessaria ad andare avanti. Un’Italia ancora piena di energie che non vengono impiegate adeguatamente, un Paese caotico ma vitale.
Negli ultimi 30 anni, l’Italia ha partecipato solo marginalmente alla forte espansione globale; in quanto i livelli di produttività e tassi di crescita sono stati stabilmente inferiori rispetto agli altri Paesi europei ed è aumentato il divario Nord-Sud. Quella vitalità, ampiamente riconosciuta, che ci ha resi orgogliosi nel mondo si è infiacchita. La pandemia da Covid ha colpito il nostro Paese in maniera acuta. Anche se, in modo inaspettato, il rimbalzo positivo del biennio 2021-2022 è stato più importante in Italia che altrove.
È una sindrome trasversale e intergenerazionale, per questo ancor più preoccupante, quella che attraversa il Paese e che traspare nell’affievolirsi della spinta imprenditoriale, nel numero straordinariamente elevato di NEET (il più elevato di tutta Europa), nel declino demografico, nell’allargarsi della fascia di povertà e della sopravvivenza assistita, nel processo di invecchiamento dell’imprenditoria italiana.
Anche se l’attenzione ed il dibattito politico sono rivolti al tema dell’immigrazione, nella realtà viva delle famiglie l’emigrazione è tornata ad essere un fenomeno italiano. Molti dei nostri giovani, dotati di un elevato potenziale culturale, negli ultimi anni hanno deciso di lasciare il Paese perché certi di avere maggiori possibilità di vita e di crescita fuori dall’Italia. Un sentimento di sfiducia e di rinuncia accomuna le generazioni, anche le più giovani. È come se l’Italia non si sentisse capace di investire nel suo futuro.
Il ciclista, fermo in surplace, è molto abile. Ma il suo intento è quello di focalizzare tutti gli sforzi per tenersi in piedi mentre le sue energie si disperdono, non sono più finalizzate ad un traguardo tangibile. Lo stesso vale per l’Italia: un Paese impegnato a restare in equilibrio, ma con una scarsa propensione verso l’avvenire. E questo vale ancor di più per le nuove generazioni. Una situazione che necessita di essere sbloccata, creando le condizioni adatte a favorire lo scatto in avanti. Diventare una società più matura e consapevole della propria storia. E proprio per questo più capace di concentrarsi sulle priorità. Questo Rapporto evidenzia diversi indizi di questo preoccupante sbilanciamento sul presente, anche rispetto alle best-practice europee. In primis, denota n ritardo accumulato dall’Italia nel sistema educativo-formativo. Il nostro Paese continua a occupare le ultime posizioni in Europa per quanto riguarda:
- il numero di giovani che non terminano nessun ciclo di studio (drop out).
- La percentuale di laureati;
- La spesa delle imprese in formazione continua.
- La formazione digitale
Un altro segnale negativo è offerto dalle risorse parcheggiate (1500 miliardi di euro, il 30% della ricchezza mobiliare privata, fermi nei depositi bancari che determinano la perdita di un alto potenziale per un più ampio sviluppo collettivo, economico e sociale. Una generalizzata tendenza ad assicurarsi protezione dal rischio imprevisto più che a preparare e/o pianificare il futuro.
Diversi sono i fattori che spiegano questa involuzione. La più evidente e diffusa è la sfiducia generalizzata nelle istituzioni, tra i più bassi a livello europeo. La sottovalutazione della centralità di conoscenza e ricerca. Prevale l’idea di economia basata sullo sfruttamento a breve termine delle opportunità esistenti, piuttosto che la più faticosa costruzione di un percorso di futuro che parta da basi solide e ben fondate. Il fatto che in Italia il rischio di impresa, economica ma anche sociale, non solo non sia premiata, ma tendenzialmente penalizzata. Con il risultato che, nel mettersi in gioco, ci si sente soli. L’investimento non è un costo. Investire è la via per allungare l’orizzonte temporale della vita individuale e collettiva attraverso il riconoscimento di ciò che ha valore e crea legame tra generazioni.
È necessario coltivare un legame di comunità. È stata la più grande lezione che abbiamo imparato dalla pandemia: ci si salva solo uniti e solidali. Lo abbiamo imparato nei giorni più difficili dei due anni appena trascorsi. Occorre prendersi cura di ciò che una cultura fortemente orientata al risultato immediato tende a corrodere.
Questa è una fase storica favorevole. Il PNRR da mettere in pratica nei prossimi anni non dovrà essere solo un piano di natura economico-sociale da rispettare ma una grossa occasione per favorire un nuovo modello di sviluppo centrato sulla sostenibilità e lo spirito di comunità. Sarà questa l’occasione per attivare verso un fine comune le migliori energie generative italiane.
Lo sviluppo vale molto di più della crescita. E la crescita è veramente tale quando si coniuga con una sostenibilità, orientata al lungo periodo e centrato sul rafforzamento dei legami sociali, ambientali e generazionali. In un mondo in profonda transizione, ormai non si tratta più semplicemente di cogliere le opportunità, quanto di aprirne di nuove. Il che significa che lo sviluppo integrale, nella logica sostenibile-contributiva – processo insieme individuale e collettivo, pubblico e privato, economico e sociale, culturale e tecnologico, imprenditivo e istituzionale – è condizione essenziale per la crescita nei prossimi anni.
Fare tesoro della lezione dei due anni appena trascorsi. Che cosa ci ha insegnato la pandemia? Per papa Francesco … peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla… Il prof. Yunus, premio Nobel per la pace nel 2006, ideatore del microcredito, ha scritto in un articolo che questa crisi ha aperto due strade: portare il mondo nella situazione nella quale ci si trovava prima del coronavirus o contribuire a ridisegnarlo daccapo…
Abbiamo capito, una volta per tutte, che le nostre vite sono interdipendenti, legate una all’altra, che i nostri comportamenti condizionano le vite degli altri. Abbiamo la possibilità concreta di trasformare quella che qualcuno ha chiamato la “fine del mondo” nella “fine di un mondo”… Dobbiamo imparare a riconoscere i tratti malati del nostro mondo sociale che prima, immersi com’eravamo in quell’orizzonte non riuscivano a percepire, è un’opportunità preziosa che non dobbiamo lasciarci sfuggire. Se si vuole sul serio provare a fare qualche passo in avanti, sarà necessario adottare una concezione antropologica dell’idea di libertà, che abbiamo imparato a definire: generativa. Il concetto di generatività (adottato in ambito sociologico da Mauro Magatti) è una delle azioni trasformative che rendono le persone capaci di gestire una libertà che non è consumo individualizzato ma opera relazionale. La generatività si fonda su un’alleanza per lo sviluppo, nella quale si evidenzi la centralità del lavoro umano e la natura sociale del profitto (L. Bruni).
«Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza»(Gv 10,10). La via per entrare nella logica fondativa della creazione è quindi generativa, perché ha a che fare con un “di più”, con “un’eccedenza” (che è qualità, non quantità). La nostra non è vita generica, vita di natura, ma vita chiamata ad una missione precisa: generare un di più di vita. Nel messaggio evangelico, inoltre, è contenuto un invito implicito alla dismisura, all’amore agapico, al di più, all’eccedenza. Siamo uomini e donne la cui missione non si limita ad affermare qualcosa che ha a che fare con il proprio “io”. Il criterio esistenziale del cristiano è improntato allo sbilanciamento che va oltre sé stessi.
Eccedenza, significa uscire dal gioco azione/reazione, osare di ribaltare il concetto di semplice reciprocità. Fare di più della misura stretta del necessario, considerare il futuro un avvenire non un divenire, qualcosa di straordinario, di non conosciuto.
Generare non coincide con il paradigma del produrre, ma far nascere nuove relazioni con persone. Essere generativi significa restituire in forma nuova ciò che abbiamo ricevuto; sfidare la stessa inconsistenza della società liquida di cui parla Bauman.