LUIGI MOZZILLO – AGOSTINO “OGGI”, LETTERE DA IPPONA

DATA DI PUBBLICAZIONE:

Davide Fiocco, Lettere d@ Ippona. Parole antiche per il ventunesimo secolo. #Agostinooggi, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2022, pp. 210.

Esperto dell’epistolario agostiniano, 308 documenti a oggi, lo studioso Davide Fiocco  con questo testo pone all’attenzione degli studiosi di Agostino una sorta di sintesi della sua sontuosa tesi di dottorato presentata all’Università Lateranense nel 2016 e pubblicata col titolo, «Spiritualis amoris vinculum» Testimonianze di collegialità episcopale nell’epistolario agostiniano (Lateran University Press, Roma 2020), quasi novecento pagine di scandaglio profondo all’interno dell’intero epistolario agostiniano (390-430). Nell’Introduzione al nuovo libro troviamo subito anche la spiegazione del titolo della sua tesi di dottorato: «Egli (Agostino) non volle essere il genio solitario che sovrasta gli altri, ma sempre si sentì parte di una squadra, che in un’occasione chiamò “nostrum collegium”. È il termine che tanti secoli dopo lascerà un segno nel Concilio Vaticano II. A quel collegio – dice il Santo – ogni vescovo è unito da uno “spiritualis amoris vinculo”».

Non solo sintesi, però, poiché le Lettere del vescovo di Ippona sono indagate, come precisa l’autore, non semplicemente com’è d’uso per attingervi elementi biografici e storiografici, oppure per conferme e approfondimenti teologici ma nella loro intenzionalità di mezzi di comunicazione che le trasforma in «testimoni di un vissuto di relazioni, consultazioni, dibattiti e controversie; – e – raccontano “in presa diretta” l’attività del più grande vescovo di Ippona e, nello stesso tempo, la vitalità delle chiese d’Africa nei primi tre decenni del V secolo» (Introduzione).  

Originalità del testo: tra le righe non solo permangono, sparse qua e la, le Testimonianze di collegialità episcopale, ma il percorso di analisi dell’epistolario si sostanzia, come precisato già nel titolo, di un tentativo di attualizzazione del vissuto agostiniano trasbordando quelle parole antiche al nostro presente. Non una semplice archeologia delle fonti ma una loro rivitalizzazione. Lettere d@ Ippona dice già quel che il sottotitolo chiarisce: quelle lettere sono rivolte proprio a noi che oggi le leggiamo, Parole antiche per il ventunesimo secolo. Ogni capitolo contiene brevi approfondimenti, evidenziati da una diversa impostazione tipografica, in cui la situazione, il problema, la controversia, sono riletti rimandando il tutto al nostro presente. L’autore segue un percorso tematico più che temporale, che si snoda in sedici capitoli e quasi cinquanta intermezzi attualizzanti ognuno con titolo proprio preceduto dall’hashtag #agostinooggi.  

Si apprendono cose che è difficile trovare anche nelle più quotate biografie agostiniane, come ad esempio, una crisi del pastore d’Ippona  che gli fa accarezzare  l’ipotesi di rinunciare all’episcopato e di ritirarsi. Siamo poco oltre il 420 e Agostino  che aveva personalmente indicato come vescovo di Fussala, un territorio dipendente da Ippona, un suo giovane discepolo  Antonino, si sentì oltremodo a disagio per le sue malefatte. Questi non era stato all’altezza delle attese e si era reso protagonista di comportamenti fuori dalle righe di cui Agostino sente e si assume tutta la responsabilità. Tutta la vicenda è ricostruibile nei dettagli da due delle Lettere: la prima a papa Celestino  (209), la seconda a Fabiola (20*).  L’attualizzazione della vicenda si muove tra i perenni dilemmi del potere e la personale responsabilità del comportamento altrui. Siamo a soli due capitoli dalla fine ed arriva anche, con il capitolo Mercanti di vite umane, una vicenda attualissima, quella dei mangones, losche figure di schiavisti che fanno pensare subito alle odierne vicende del basso Mediterraneo, stesso spazio, distanza di secoli, comportamenti simili.

Seguendo l’iter di analisi proposto dall’autore, subito dopo i primi capitoli, indirizzati quasi a mo’ di introduzione come tematica generale, con un discorso sulla prudenza nel parlare e scrivere (cap. 1) e ancora sul bisogno di Carità e umiltà nelle discussioni (cap. 2) seguendo il modello di Cristo, cui fa da contrappunto la vicenda dei suoi travagliati rapporti epistolari con Girolamo: Amarezze della correzione fraterna, (Cap. 3) il lettore è portato in maniera naturale ad entrare nelle vicende dell’Agostino polemista antidonatista e antipelagiano. Le questioni dei capitoli 4-8 (4. La Chiesa una e santa; 5. Discutiamo con metodo; 6. Il “si dice” non scrive la storia; 7 Qual è la vera Chiesa?; 8. L’uomo saggio sa cambiare idea😉 si muovono tutte lungo il filo dei problemi posti in essere dal  donatismo e delle vicende che ne conseguono.

Dopo aver ricostruito la vicenda storica della nascita del donatismo già ai tempi di Costantino, con la controversia per la nomina del successore del vescovo Mensurio a Cartagine, che vide il gruppo filoromano consacrare Ceciliano ma senza la presenza dovuta dei vescovi della Numidia, questi irritati eleggono un altro vescovo, Maiorino, dando inizio formale allo scisma. A Maiorino già l’anno dopo seguì la nomina di Donato: «Fu lui a dare nome allo scisma e a organizzare una chiesa parallela in quasi tutta l’Africa» (p. 44).  Agostino convertito a Milano nel 386  e battezzato l’anno dopo da Ambrogio, al suo rientro in Africa, dopo aver avviato nella casa paterna un’esperienza di vita in comune, nel 391 recatosi a Ippona e accettato suo malgrado, un’ordinazione presbiteriale forzata, si trovò improvvisamente scaraventato nel bel mezzo delle agitate controversie della chiesa africana. Prima gli ultimi bagliori del manicheismo, che Agostino conosceva bene, avendone per oltre un decennio seguito le prescrizioni, ma da tempo se ne era distaccato e aveva già polemizzato in diversi scritti con loro per cui siamo subito all’epilogo: pubblico confronto con il presbitero Fortunato e riduzione di questi «a un silenzio tanto disonorevole da fargli abbandonare la città» (p. 50).  Subito dopo tocca ai donatisti. Cosicché, possiamo dire, che l’autore fa una sorta di biografia della seconda parte della vita del Nostro che va dal rientro in Africa (388) alla morte (430), in pratica gli anni del suo episcopato.

            I donatisti ritengono la validità del battesimo dipendente dalla persona che lo amministra. I cattolici che passano alla loro parte vengono, dunque, ribattezzati. Sorprende, insieme alla lungimiranza, l’iniziale la pacatezza di Agostino nell’affrontare i donatisti. La sua proposta, ancora presbitero,  è quella di stabilire preliminarmente le regole della discussione. Trattare il tutto in maniera concreta e razionale avendo quale riferimento l’autorità delle Scritture e senza troppo scomodare il passato sul quale, per gli eventi accaduti, gli animi delle due parti non sarebbero troppo sereni. Così come conseguenza di due “lettere aperte” del 396, indirizzate a un gruppo di laici donatisti tra i più moderati, scaturisce un confronto col vescovo Fortunio per il quale Agostino commenta: «erano accorsi alla discussione come si va a teatro, come per assistere a uno spettacolo piuttosto che a un dibattito religioso sulla salvezza cristiana» (Lettera 44,1,1) e nella cronaca della discussione  ci troviamo direttamente proiettati in quelle modalità proprie degli attuali talk-show, con applausi, mugugni, tifoserie scatenate. È facile per Agostino argomentare quale sia la vera Chiesa, vista anche la ristrettezza territoriale di quella donatista che non varcava i confini africani. Fortunio fa conto e mette in campo la persecuzione e le vessazioni sociali e politiche subite dai donatisti, al che Agostino ha facile campo a indicare che anche i cattolici subiscono ogni tipo di violenza dai circumcellioni. È difficile dunque uscire dall’impasse come prevedeva Agostino se le parti rivangano il passato. Se ne convince anche Fortunio che sembra mutare atteggiamento salvo poi non far seguire i fatti alle convinzioni con conseguente stallo delle questioni in campo.

Non avendo convinto a lasciare andare il passato, Agostino si dà a indagare su quel passato e sui tanti falsi “si dice” che il tempo aveva cristallizzato: chi e quale era stata la causa dello scisma? I donatisti accusavano i cattolici di tradimento verso i testi sacri e di aver provocato l’intervento dell’autorità civile: «Ed ecco che nelle sue lettere Agostino approfondisce dettagliatamente la storia delle origini del donatismo, citando documenti stanati dagli archivi ecclesiastici e perfino quelli dell’amministrazione civile» (p. 65). Una volta risaliti ai fatti che si evincono, non dal loro racconto ma dai documenti, e puntualizzato le cause delle origini dello scisma, Agostino elogia l’atteggiamento di papa Milziade, al quale era stata posta la questione di legittimità dopo  che Donato si era rivolto all’Imperatore Costantino, che «Ai vescovi donatisti che avessero rinnegato lo scisma egli concedeva di conservare il titolo e la sede» (p. 68). Tanti sono i “si dice” ancora oggi nella chiesa e Davide Fiocco,  collaboratore per la Causa di canonizzazione di Papa Luciani, sceglie le diverse dicerie messe in campo da giornalisti poco professionali e alla ricerca di scoop, sulla morte di Giovanni Paolo I.

Resta la questione di base: Qual è la vera Chiesa?  I donatisti continuavano a rivendicare il loro primato nonostante la loro diffusione restava circoscritta al territorio africano. Per loro l’integrità del comportamento personale era più importante dell’universalità della Chiesa. Agostino insisteva: «Noi rinfacciamo il delirio dello scisma, la pazzia di ripetere il battesimo, la scellerata separazione dell’eredità di Cristo, sparsa su tutta la terra» (Lettera 48,8,21). Agostino pone in campo anche la sinodalità della chiesa: i donatisti avevano rotto con la Chiesa di Roma già quando al loro nascere Donato si era rivolto per tre volte a Costantino e non al vescovo di quella città. La loro era una vera e propria ossessione per la dignità del ministro. Facile anche qui trovare le attualizzazioni, basti pensare alle diversità di risposta verso le grandi aperture attuate da papa Francesco. Intanto ulteriori divisioni e scismi si verificano all’interno degli stessi donatisti, a Cartagine e nella Mauretania Cesariense. «Con questo sguardo allargato sull’universalità della Chiesa, agli occhi di Agostino il peccato più grave era davvero lo scisma. [… ] Ai donatisti che reclamavano l’esclusiva legittimità dei loro vescovi, Agostino rinfacciava la comunione dei cattolici col vescovo di Roma» (p. 77 e 81).   

Questione storica spinosa, con profonde implicazioni etiche e politiche: Agostino e la repressione violenta delle eresie, opinione alla quale approda; soprattutto se l’atteggiamento del Nostro nel merito è filtrato dalla moderna sensibilità. Da un atteggiamento di pacifica tolleranza, premessa per un dialogo costruttivo, come abbiamo anche visto, verso il 407-408 in una lettera a Vincenzo di Cardenna, troviamo Agostino che  fa propria una visione quanto mai intollerante, mutando opinione sull’opportunità della repressione imperiale nei confronti dei donatisti e delle eresie in genere, di questo mutamento vi è traccia anche nelle Ritrattazioni (II,5). Agostino giustifica la presenza di leggi oppressive nei confronti degli scismatici poiché «in realtà sono a loro favore, per il fatto che molti di loro si sono ravveduti e si ravvedono ogni giorno per loro mezzo e ringraziano di essere stati corretti e liberati dal proprio funesto errore» (Lettera 185,2,4). I donatisti perseguitati non meritano la corona del martirio poiché le leggi anche se oppressive sostengono la verità e sono per il loro bene. Agostino teorico dell’inquisizione? è il titolo di uno dei trafiletti attualizzanti, contrassegnati dall’hasthag  #agostinooggi: «Purtroppo la Lettera 185 si è prestata e si presta a varie esegesi che le decontestualizzano; per queste ancora si imputa ad Agostino il ruolo di “primo teorico dell’Inquisizione”. Ma proprio la situazione storica non permetteva ad Agostino di essere responsabile di quanto farà Torquemada» (p. 91).  Davide Fiocco in difesa di Agostino chiama anche il prof. Joseph Ratzinger  che non vede nel “compelle intrare” del Nostro nessun indizio della futura visione teocratica medioevale. A porre fine alla controversia donatista fu la Conferenza di Cartagine (411).

Pur ritenendo la controversia pelagiana la più importante nella vita di Agostino, «quella per cui il Vescovo di Ippona maggiormente segnò il resto della storia della teologia occidentale – e con essa siamo – nei punti più delicati del cosiddetto “agostinismo”» (p. 95), l’autore la liquida in un solo capitolo 9. Impietosi censori.  La nuova controversia inizia lo stesso anno della Conferenza di Cartagine. Nel libro Pelagio ha già fatto una fugace comparsa al primo capitolo, Parla e scrivi con prudenza, nel quale si parla di un biglietto indirizzato al monaco britannico che, nel 410 in fuga da Roma invasa dai barbari, dove era stato battezzato, era stato di passaggio ad Ippona, in risposta a una sua missiva. Il biglietto fu usato da Pelagio, senza il consenso del Nostro, nel 415 insieme a lettere di comunione di altri vescovi, per provare la sua integrità dottrinale di fronte al sinodo di Diospoli.  Nel capitolo dedicato a Pelagio l’autore parte proprio da questo biglietto specificando che Agostino non era a Ippona e avrebbe avuto un incontro col monaco un po’ di tempo dopo a Cartagine. Pelagio parte subito per la Palestina e in Africa resta un suo discepolo, Celestio, che subito citato davanti a un sinodo a Cartagine, ancora nel 411, e condannato per le sue idee: «Il peccato originale riguarda il solo Adamo; ai bambini non va imputato alcun peccato originale» (p. 95). Agostino non partecipa al sinodo ma in una lettera a un tale Anastasio lo stesso anno già si comincia a trovare: «“senza la grazia di Dio in nessun modo la volontà umana realizza” la sua vittoria sulle malie dei beni del mondo» (Lettera 145,2).   È iniziata  la “guerra teologica mondiale”. L’autore, sempre tramite le Lettere, ci porta nel vivo di questa guerra: Pelagio contesta ad Agostino la sua idea espressa nelle Confessioni «“Dammi quello che comandi e comandami quello che vuoi”. Per Pelagio Dio comanda e noi possiamo e dobbiamo obbedire senza bisogno d’altro, perché Dio ci ha già dato tutto creandoci, compresa la capacità di obbedirgli» (p. 97). Agostino chiama in aiuto San Paolo: seguire la legge non è possibile senza una redenzione dal peccato, da soli nessuno è in grado di fare il bene o evitare il male. È lo Spirito Santo che ci risana, importanti indizi in merito si trovano nella Lettera a Anastasio (145). Il discorso sulla volontà di Agostino ancora adesso si discosta poco o niente da quello del conflitto delle volontà presente venti anni prima nelle Confessioni. «Egli non nega il libero arbitrio, ma dichiara che la libera volontà ha bisogno di essere sanata e liberata: “La libertà della volontà non viene eliminata per il fatto che è aiutata, ma viene aiutata proprio perché non soccomba” (Lettera 157)» (p. 105). La pienezza della legge, per Agostino si compie «non in virtù delle forze della nostra volontà, ma per la grazia dello Spirito Santo che ci è stato dato (cf. Rm 5,5)» (p. 106). Sono i vescovi africani, tramite due lettere sinodali inviate a papa Innocenzo I, a ergersi contro Pelagio quando questi nel 415 prima a Gerusalemme poi a Diospoli verrà assolto. Innocenzo conferma la linea dei vescovi africani e per Agostino sembra che la questione sia chiusa definitivamente. La situazione, però, si ribalta già due anni dopo, con papa Zosimo, che si pone dalla parte di Celestio e contro i vescovi africani, Pelagio si accoda e rientra a Roma. L’anno dopo, con l’intervento nella disputa della corte imperiale a sostegno dei vescovi africani, papa Zosimo si adegua e un sinodo radunato a Cartagine nel maggio del 418 «formulò la tradizionale dottrina sulla necessità della grazia di Dio con canoni inequivocabili, che la rendevano obbligante» (p. 111). Non mancarono degli strascichi con Giuliano d’Eclamo, la questione sarà chiusa in maniera definitiva dal concilio di Efeso del 431, anno successivo alla morte di Agostino.

Liquidate così le tre grandi controversie, gli ultimi capitoli sono dedicati a questioni di carattere prevalentemente etico antropologico; ecco i titoli: 10. Sordida avarizia; 11. Tormentata continenza; 12. Sagre paesane; 13. Tradizioni  di importazione;  14 e 15 li abbiamo già visti all’inizio: la crisi di Agostino e gli schiavisti; per concludersi con 16. L buon pastore non abbandona il gregge

Dal Comportamento di Agostino nella questione di un’eredità di un monaco che non aveva alienato i suoi beni nell’entrare in comunità e che vede in  campo anche Alipio,  l’autore ne caratterizza la personalità: «È affascinante il ritratto di Agostino  che si delinea in questo frangente: è capace di fissare principi morali e legali, ma anche di accondiscendere alla capacità di comprensione del popolo; è prudente nel chiedere il parere di un terzo vescovo, sicuramente più limitato dei due “mostri sacri” di Ippona e Tagaste, ma disposto a sottomettersi al giudizio  ultimo di Alipio; soprattutto è attento alla delicatezza degli animi dei fedeli» (p. 115).    

Diverse sono le Lettere in cui Agostino è impegnato a districarsi tra casi di chierici denunciati per l’inosservanza della continenza tra i chierici, alcune anche tra quelle scoperte nel 1975 (dette Lettere Divjak dal nome del filologo che le trovò), anche qui l’autore procede con la dovuta e solita delicatezza che fa eco a quella propria di Agostino nell’affrontare anche casi di omosessualità.  Anche Monica fa la sua comparsa nel libro, quando l’autore affronta il problema della vinulentia, ricordando come lo stesso Agostino nelle Confessioni nel ricordare la giovinezza della madre ci informa della tentazione all’alcolismo della madre dalla quale si liberò dopo che una servetta l’aveva apostrofata quale meritibula, vale a dire “piccola ubriacona” (Conf. IX,8,18). Subito dopo la nomina a presbitero a Ippona, Agostino in una Lettera al primate della Chiesa africana Valerio affronta il problema «delle laetitiae, le allegrezze che somigliano tanto alle moderne sacre di paese» (p. 143). Agostino mostra tutta la sua pacatezza: «Ciò che qualche anno fa si doveva deplorare, ora si deve rimuovere, non con durezza ma – come  sta scritto – con spirito di dolcezza e mansuetudine (Gal 6,1; 1Cor 4,21)» (Lettera 22,1,5). La comprensione che Agostino mostra verso la pietà popolare del suo tempo è ancora quella che dovrebbe caratterizzare l’atteggiamento di tante autorità religiose alle prese ancora oggi con lo stesso problema. 

Solo qualche anno dopo, appena eletto vescovo, gli viene posto da un giovane prete di nome Casulano il problema dell’osservanza del digiuno al sabato, pratica osservata dalla chiesa di Roma e che il giovane presbitero pensava, anche con l’autorità di Agostino di poter estendere all’intera cristianità. Agostino è dell’idea di rispettare le singole indicazioni delle chiese locali: una varietà che non annulla l’unità, la fede è unica anche se viene manifestata in pratiche diverse. Stesso principio adotterà verso il 400, quando gli sarà presentato il problema della frequenza della celebrazione e della comunione eucaristica.

L’ultimo capitolo è uno squarcio sugli ultimi anni di vita del Nostro: 16. Il buon pastore non abbandona il gregge. Dopo il sacco di Roma del 410, il problema dell’autodifesa nei confronti dei circumcellioni  si estende alla difesa nei confronti dei barbari. Affrontare il rischio della morte? Immolarsi o fuggire?  Agostino resta al suo posto fino alla fine  e inevitabilmente la sua carità cristiana può consigliare solo questo, stare al servizio del proprio popolo di fedeli, a chi, anche vescovi, gli chiedeva lumi nel merito.

Un percorso quello di Davide Fiocco variegato nel discernimento di tante questioni, attraverso le parole vive di una corrispondenza che all’epoca si presentava come autorevole magistero morale di un uomo, un presbitero, un vescovo che aveva fatto della sua esistenza l’immagine splendida della propria fede nella pratica delle piccole cose della vita quotidiana  dalle quali nasceva lo spirito giusto per affrontare le grandi e gravose questioni teologiche. In esso il lettore attento troverà, anche al di là delle attualizzazioni proposte dall’autore, la magnifica testimonianza di idee e pratiche ancora valide anche per il ventunesimo secolo. Il libro pur non mancando di una sua scientificità  alla fine si presenta non solo per gli addetti ai lavori,  ma per chiunque voglia avvicinare dal vivo la vita e la fede del grande dottore della grazia.