MICHELE CICCARELLI – A CASERTA UNA RIFLESSIONE SUI VALORI DELLA “LETTERA AI GALATI”

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Ormai viviamo tutti in un’era in cui è diventata problematica la comunicazione, soprattutto perché essa ha assunto una dimensione globale che è difficile da gestire. D’altro canto, il linguaggio umano sta diventando da una parte più povero e incapace di esprimere sinceramente sentimenti ed emozioni, dall’altra assume, a volte, forme violente che rivelano un’inadeguatezza al dialogo come strumento di relazione interpersonale e di trasmissione di messaggi.

Forse è anche perché ha tenuto conto di questa condizione dell’uomo contemporaneo che la XXVI Settimana Biblica di Caserta ha scelto di dedicare alcuni giorni, dal 3 al 7 luglio 2023, alla strategia comunicativa che l’apostolo Paolo ha utilizzato per indirizzare una delle sue più dense e complesse lettere all’insieme di diverse comunità cristiane della Galazia, una regione al centro dell’Anatolia, i cui membri, almeno la stragrande maggioranza di loro, venivano dal paganesimo e avevano da pochissimo tempo aderito al vangelo.

La riflessione biblica sulla lettera ai Galati di Paolo è stata affidata a due rinomati esegeti italiani e studiosi del pensiero paolino: i proff. Giuseppe De Virgilio e Francesco Bianchini, i quali, partendo dagli aspetti storico-letterari del testo della lettera, hanno approfondito poi, progressivamente, il suo contenuto specifico.

Paolo si trova di fronte ad un impegno non indifferente, quello di giustificare, mediante la sua parola, la verità del vangelo che egli stesso ha annunziato, il quale non è modellato su un uomo, ma è stato ricevuto per rivelazione di Gesù Cristo. I cristiani della Galazia, infatti, rischiano di essere sviati da un altro vangelo predicato da altri cristiani che credevano che la salvezza non fosse sufficientemente assicurata dalla fede in Cristo e che fosse, invece, necessaria anche l’osservanza della Legge di Mosè.

Per questo motivo, Paolo ha bisogno di presentare se stesso come l’autentico interprete della rivelazione che egli ha ricevuto da Cristo stesso. La parte iniziale della lettera, in cui Paolo ricorda momenti fondamentali della sua vita, serve a dimostrare che il vangelo da lui predicato ha l’autorità divina e annuncia chiaramente che la giustificazione ossia la salvezza avviene per la fede in Cristo e non per le opere della Legge. Questa fede introduce i cristiani in un regime di libertà che non può essere compromesso da uno scivolamento, seppure parziale, nella schiavitù alla legge mosaica.

Per affermare questo, Paolo mette in campo una strategia argomentativa di grande spessore retorico e utilizza brani della Scrittura che dimostrino la correttezza del suo annuncio. Egli, infatti, fa uso di ammonizioni, di un’apologia personale, di un duro rimprovero, di riferimenti biblici e di esempi presi dalla vita quotidiana per dare una base solida alle sue argomentazioni. Infine, rievoca un passato negativo da non più rivivere, richiama la benevola e premurosa accoglienza ricevuta da lui stesso presso i Galati ed esorta a rimanere nella condizione di libertà ottenuta, prima di stimolare un’efficace vicendevole correzione fraterna, per crescere come comunità di fede. L’intero apostolato di Paolo testimonia la complessità di comunicare il messaggio di fede da proporre ad un’umanità che, allora come oggi, ha nelle parole umane lo strumento fragile e potente allo stesso tempo per parlare a Dio e per mettesi in ascolto di Dio, in un mondo in cui l’uomo corre spesso il rischio di essere ammaliato da parole che non traducono la verità del vangelo di Cristo e che ci rendono schiavi proprio nel momento in cui noi siamo convinti di essere più autonomi.