Giovani abbandonati e criminalità minorile in Campania: un’analisi sociologica

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di Arturo Formola

L’allarme del garante dei detenuti della provincia di Caserta, don Salvatore Saggiomo, sulla crescita della criminalità minorile in Campania, anche dopo l’uccisione del giovane napoletano Marco Pio Salomone da parte di un minorenne, riporta al centro del dibattito scientifico il tema del disagio giovanile. Napoli e la regione Campania rappresentano un caso paradigmatico di esclusione sociale, fragilità educativa e fallimento istituzionale. In questo contesto, il decreto Caivano si configura come una risposta emergenziale che privilegia la repressione rispetto alla prevenzione e all’inclusione.
La letteratura sociologica evidenzia come la devianza minorile sia il prodotto di fattori strutturali:
•⁠ ⁠Marginalità territoriale: periferie prive di servizi e opportunità.
•⁠ ⁠Capitale sociale ridotto: assenza di reti comunitarie e fiducia.
•⁠ ⁠Modelli culturali alternativi: la criminalità organizzata come percorso di mobilità sociale rapida.

Questi elementi si intrecciano nel caso campano, dove la camorra diventa un attore sociale capace di attrarre giovani privi di prospettive.
Secondo le rilevazioni 2024 dell’USR Campania, oltre 2.000 alunni non hanno mai frequentato le lezioni e migliaia presentano assenze superiori al 50% dei giorni di scuola. Le prove Invalsi 2024 mostrano che la dispersione implicita resta sopra il 10% in Campania, tra i valori più alti d’Italia. Questi dati confermano una fragilità educativa che alimenta il rischio di devianza.
Il report del Ministero dell’Interno 2024 segnala un aumento delle gang giovanili e dei reati commessi da under 18. In Campania, il 72% dei delitti attribuiti a minori riguarda violenza armata e reati gravi. La presidente della Corte d’Appello di Napoli ha denunciato il raddoppio dei reati gravissimi commessi da adolescenti, con un incremento legato anche all’uso di armi e stupefacenti. Gli istituti penitenziari minorili risultano sovraffollati, segno di un sistema repressivo che non riesce a contenere né a rieducare.
Il decreto Caivano si fonda su un paradigma repressivo: pene più severe, misure cautelari accelerate, controlli straordinari. Da un punto di vista sociologico, emergono tre criticità:
1.⁠ ⁠Approccio punitivo: non incide sulle cause strutturali del disagio.
2.⁠ ⁠Mancanza di continuità: interventi straordinari senza politiche stabili di welfare e istruzione.
3.⁠ ⁠Stigmatizzazione dei minori: i giovani vengono percepiti come “pericolo sociale”, rafforzando processi di esclusione.

Il decreto appare come un dispositivo normativo che produce visibilità politica, ma non affronta le radici della devianza minorile.
La criminalità minorile in Campania è il risultato di un fallimento istituzionale e comunitario. La risposta non può limitarsi alla repressione, ma deve articolarsi in politiche di lungo periodo: investimenti nell’istruzione, creazione di spazi di socialità, sostegno alle famiglie e rafforzamento delle reti comunitarie. Solo così sarà possibile trasformare il “modello Caivano” da intervento emergenziale a strategia di inclusione sociale.
La sociologia invita a leggere il fenomeno non come una questione di sicurezza, ma come una sfida di giustizia sociale e di responsabilità collettiva. Ogni giovane sottratto alla criminalità è un capitale umano restituito alla società; ogni giovane abbandonato è una sconfitta che riguarda tutti.