Gian Paolo Bortone – Chiesa e polis, un rapporto dialettico da ripensare

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Introduzione

Si è tenuta sabato 27 maggio presso la sede della Caritas di Aversa la tavola rotonda su Chiesa e polis: come costruire la casa comune? Promossa dalla Federazione regionale della Campania del Movimento di Volontariato Italiano e dall’associazione Eupolis, Scuola di formazione all’impegno sociale e politico della diocesi di Aversa, la tavola rotonda è stata l’occasione per analizzare le criticità del rapporto tra Chiesa e polis ma soprattutto per inaugurare prospettive di riflessione e lavoro orientate alla costruzione di comunità locali all’insegna della legalità, della responsabilità e della solidarietà. La complessità dei territori e dei loro problemi, infatti, ha bisogno del riconoscimento reciproco e della collaborazione dei diversi attori sociali che vi operano. Una collaborazione che, mentre anima percorsi condivisi, si configura per la Chiesa anche come occasione di riflessione e ridefinizione della propria identità e missione sociale, incrociando su questo versante, sia il cammino sinodale ormai entrato nella seconda fase, sia la declinazione di una teologia fortemente incarnata nella storia del Mediterraneo e in dialogo con le culture che i popoli di quest’area hanno elaborato.

La tavola rotonda

Dopo una veloce introduzione, i due moderatori, il prof. Genoveffo Pirozzi e don Francesco Riccio, hanno proposto avanzato delle brevi domande a due ospiti per volta, invitando poi gli altri partecipanti alla tavola rotonda e l’assemblea a interagire alle sollecitazioni emerse dalle risposte.

La prima domanda, sugli sviluppi del cammino sinodale sia a livello locale che a livello più generale, ha coinvolto mons. Angelo Spinillo, vescovo di Aversa, e mons. Emilio Nappa, Segretario aggiunto del dicastero per l’Evangelizzazione. Mons. Spinillo ha messo in evidenza che il cammino sinodale vive tutte le dinamiche proprie di un cantiere, compresa la fatica, e sta impegnando a vario livello, con esiti positivi e per certi versi sorprendenti, tutte le anime della diocesi di Aversa. Uno degli obiettivi più urgenti è sicuramente quello di educare a una partecipazione che sia, al tempo stesso, emotiva e purificata. Infatti, mentre la sapienza liturgica manifesta tutta la gioia per la Pasqua nella bellezza, ma anche nella sobrietà, della parola «Alleluja», troppo spesso nei nostri territori c’è, invece, la tentazione di accompagnare le celebrazioni con tanti segni o azioni che finiscono prima per sovrapporsi e poi sostituire il mistero celebrato. Questa tendenza non solo finisce per relegare la fede a qualcosa di esteriore, ma la anestetizza perché la rende incapace di incarnarsi nel territorio e promuovere percorsi di trasformazione.

L’intervento di Mons. Nappa ha allargato l’orizzonte della riflessione: l’evangelizzazione si configura prima di tutto come promozione umana e sviluppo che, solo in un secondo momento, possono diventare prerequisiti per un eventuale discorso di fede. Il sinodo è anche l’occasione per la Chiesa per fare i conti con questa nuova prospettiva. Si tratta di un cammino in cui, alla fatica di raggiungere la meta, si aggiunge quella dell’incontro e del dialogo tra soggetti e idee spesso distanti, se non in contraddizione. Le più grandi difficoltà che la Chiesa è chiamata ad affrontare in questo cammino, secondo mons. Nappa, sono il desiderio di potere e la burocrazia, due facce di una medaglia che testimonia la tentazione di prendersi cura di sé, dei propri tornaconti, anziché dell’altro. Mons. Nappa ha indicato anche alcune prospettive di miglioramento: in primo luogo, il ritorno all’essenzialità. La moltiplicazione di documenti, convegni, conferenze non ha prodotto, infatti, grandi risultati, se non quello di alimentare piccole sacche di potere e di visibilità. In secondo luogo, il discernimento e l’ascolto di quelle categorie spesso marginalizzate dalla e nella Chiesa.

Il secondo giro di interventi, invece, ha riguardato limiti e potenzialità del rapporto tra Chiesa e polis. Il dott. Pezzullo, vice-direttore dell’Ufficio di pastorale sociale e del lavoro della Diocesi di Aversa, ha messo a fuoco due criticità. Una ad intra: la Chiesa ha difficoltà a sporcarsi le mani con la polis, come se Chiesa e polis fossero due realtà distanti, quasi estranee. La Chiesa, però, parafrasando il titolo della tavola rotonda, è polis. Questa consapevolezza, però, si scontra con la criticità ad extra: in un territorio complesso che vive di polarizzazioni e contrapposizioni, la Chiesa ha sempre più difficoltà a intercettare interlocutori credibili e, soprattutto, corre il rischio di un’interpretazione impropria della sua disponibilità a collaborare, venendo letta come una sorta di implicito endorsement da parte dei politici e degli amministratori di turno.

Per il dott. Mercinelli, consulente di etica ed economia integrale, già direttore dell’Ufficio di pastorale sociale e del lavoro della diocesi di Capua, viviamo in un periodo estremamente interessante: la complessità rappresenta una sfida e un’opportunità a patto che si abbia la volontà di evitare la via semplice dei riduzionismi. Questa sfida, però, sembra non essere raccolta in pieno e diffusamente dalle comunità ecclesiali: nonostante il magistero di papa Francesco, la Chiesa fa fatica a ripensare la formazione, la pastorale, le figure professionali (per esempio gli insegnanti di religione). Queste sfide chiedono invece alla Chiesa di investire in forme rinnovate e luoghi inediti di accompagnamento delle persone, in particolare dei giovani e delle istituzioni.

L’ultimo giro di interventi è stato incentrato intorno ai limiti e alle carenze nel creare sinergie tra Chiesa e polis nella ricerca di nuovi indirizzi su cui convergere. Il prof. Di Santo, direttore scientifico della Scuola nazionale di formazione sociopolitica “Giorgio La Pira”, ha spostato l’attenzione dalla Chiesa alla polis che, vista con gli occhi di La Pira, è un’entità spirituale e luogo di liberazione dall’odio. Se la polis è qualcosa che eccede la sua dimensione fisica e urbanistica, governare la polis significa pensare oltre le semplici politiche della buona amministrazione. Questo “pensare oltre” deve diventare un obiettivo della Chiesa: essa è dentro la polis, con una funzione, soprattutto nella fase del pre-politico, di vettore di trasformazione profonda e cambiamento più che come erogatore di risposte al servizio delle contingenze. “Pensare oltre” significa anche superare la pigrizia spirituale che diventa legittimazione dello status quo, una microfisica del potere che poi diventa apologetica del potere e della burocrazia nella quale lo stesso potere si estrinseca. “Pensare oltre” significa, infine, riconoscere che l’impegno pubblico presenta una differenza qualitativa rispetto all’impegno del privato cittadino.

Il dott. Di Nardo dal canto suo, presidente dell’Associazione Economia e Sviluppo, ha messo in evidenza come sia in atto un progressivo, ma veloce spopolamento soprattutto dei territori del Sud Italia che interessa sia la Chiesa che la polis: si spopolano le piazze; si spopolano le chiese; si spopolano i seggi elettorali. Questa situazione richiede un nuovo paradigma di sviluppo che sappia distanziarsi dalle forme e dall’idea di dominio con cui storicamente si è realizzato, per recuperare modalità di collaborazione che rimettano al centro la relazione. Uno sviluppo sociale che ha a che fare anche con la promozione di cammini di empowerment, di consapevolezza di sé e delle proprie scelte, decisioni e azioni, sia nell’ambito delle relazioni personali che in quello della vita politica e sociale. Cammini quindi di emancipazione ma, allo stesso tempo, di incivilimento che promuovano la partecipazione, la buona amministrazione, la promozione del profilo pubblico di imprenditori e soggetti sociali.

Infine, il dott. Cuoci, coordinatore del comitato don Diana, ha provato a indagare le ragioni della distanza e, in alcuni casi, della diffidenza tra Chiesa e polis. Da un lato il rapporto si è incrinato perché spesso la Chiesa non ha realmente affrontato i problemi a viso aperto e con trasparenza, ma ha proposto solo soluzioni di maquillage o che sono state percepite come tali (pensiamo al caso della pedofilia). Questo rapporto complicato è stato reso ancora più complesso, dall’altro, dalla scristianizzazione della società e dalla rimozione della questione di Dio. Per riannodare il rapporto con la polis la Chiesa ha bisogno di uscire dalle sagrestie, di cogliere le domande esistenziali dell’uomo contemporaneo e dei territori, recuperando il senso della profezia.

Alcune considerazioni a margine

La congiunzione che nel titolo tiene insieme le due realtà, Chiesa e polis, risponde al tentativo di articolare in maniera neutra i due termini proponendo un’analisi dei loro rapporti. Il dott. Pezzullo, nel suo intervento, ha proposto di sostituire la congiunzione con il verbo essere: la Chiesa è polis. Una proposta che ovviamente ha senso come provocazione all’interno del contesto, ma che altrettanto ovviamente è irricevibile perché rappresenta una riduzione indebita di un termine all’altro. Eppure, al di là delle intenzioni, l’impressione è che questa riduzione fosse nei fatti e nel tenore degli interventi: non solo si è parlato tanto di Chiesa e poco di polis (come ha messo in evidenza in maniera sorniona il prof. Di Santo), ma la Chiesa è stata il polo di attrazione e la lente attraverso la quale leggere la polis. Quest’ultima sta attraversando processi di cambiamento che hanno messo in crisi i corpi intermedi (come ricordato dal prof. Pirozzi nell’introduzione) e trasformato i volti delle città, dei territori, le caratteristiche della partecipazione, della cittadinanza, della politica in generale. Globalizzazione, migrazioni, corruzione della pubblica amministrazione, digital divide, pervasività della tecnologia e ruolo dell’intelligenza artificiale, cambiamenti climatici, inquinamento oltre a cambiare i territori e le persone che vi abitano, implicano una diversa modalità di percezione, partecipazione (o non partecipazione), costruzione delle identità politiche. Forse occorre promuovere e mettere in rete anche quelle esperienze e settori che non solo hanno messo a fuoco i problemi classici del territorio, ma intravvedono e mettono a tema l’emergere dei temi dell’oggi e del domani.

Una delle parole più ricorrenti, se non la più ricorrente, del confronto-dibattito è stata «complessità». Abitare la complessità comporta, per la Chiesa, una rivoluzione copernicana: smettere di pensarsi come il polo centrale intorno al quale ruota tutto e prendere consapevolezza del suo sostanziale decentramento culturale, politico e sociale che si trasforma in vera e propria marginalità. Pur se innegabilmente la Chiesa rimane un punto di riferimento ancora per molte persone, tuttavia in molte altre suscita indifferenza o, addirittura, rappresenta un problema. Questa sopraggiunta marginalità può essere uno shock per quanti sono nati e cresciuti pensando alla Chiesa come naturalmente centrale all’interno del dibattito pubblico. Non è un caso che persistano posizioni di retroguardia o piccole rendite di potere che la Chiesa fatica a lasciare andare. Ma può essere anche un’occasione: essere marginali, infatti, non è una condanna. Si può e si deve vivere la propria missione anche a partire da posizioni non più centrali all’interno del dibattito pubblico, recuperando in questo modo quella carica profetica richiamata da molti interventi. Ma si può essere profeti solo se si viene riconosciuti come al di sopra di ogni interesse. E non sempre questo accade. C’è ancora un cammino di percorrere, come dimostrano, per restare ai nostri territori, le polemiche e la complessa vicenda dell’area dell’ex Macrico.

Questo elemento si lega infine al tema della formazione: la Chiesa è una delle più grandi agenzie formative presente sul territorio. Tuttavia, questa formazione sembra essere schiacciata quasi esclusivamente sul versante sacramentale – liturgico e/o centrata ad intra (associazionismo, movimenti, vita delle comunità cristiane). Forse occorrerebbe riflettere sui profili in uscita di questa formazione e sulla funzione evangelizzatrice della stessa in relazione alle varie periferie esistenziali: che tipi di cristiani si stanno formando? Questa formazione è adeguata alle sfide del mondo contemporaneo? In definitiva ripensare alla formazione a partire dai profili in uscita significa anche interrogarsi sulla propria identità, su che cosa vuol dire essere discepoli di Gesù oggi.