Lo sviluppo di un Paese dipende da diverse variabili tutte riconducibili a un unico obiettivo: generare una sana economia per garantire civiltà, benessere ed equità sociale ai suoi abitanti.
Si tratta di un modello economico-sociale facile da riscontrare nelle comunità che funzionano ma, evidentemente, difficile da realizzare in mancanza dei presupposti di base: un settore “pubblico” efficiente, un “privato” competitivo e un “Terzo settore” emancipato e orientato al mercato.
In Italia si dà spesso per scontato che l’imprenditoria (profit e no profit), è “un’erba spontanea” che cresce e si espande in maniera naturale, e che, all’inverso, la Pubblica amministrazione è destinata a non funzionare, quasi fosse condannata in tal senso da una “divina maledizione”.
Tale presunzione salda sciaguratamente gli interessi delle lobby di potere, interessate a impoverire culturalmente il Paese per poterlo gestire al meglio, con quelli degli analisti economici e sociali, i quali ambiscono a pianificare e governare il cambiamento del Paese solo con uno sterile e infruttuoso lavoro da scrivania teso a precostituirsi, senza particolari sforzi, proprie rendite culturali e professionali peraltro destituite da qualsiasi fondamento scientifico.
È evidente, invece, che ci si trova di fronte a processi che vanno stimolati, progettati, accompagnati e orientati verso le migliori pratiche attraverso un approccio strategico (ma, anche, manageriale) “dal basso”, in quanto qualsiasi organizzazione risente della mano di chi la pensa e la governa direttamente.
Solo innescando, partecipando e governando processi di cambiamento sul campo si potrà pretendere un ritorno dell’investimento sotto forma del miglioramento della vita pubblica di comunità. Diversamente, restano solo auspici e frustrazioni permanenti.
Se consideriamo che l’attuale classe dirigente italiana (politica, pubblica e privata) è la logica conseguenza di un lungo e scellerato periodo d’impoverimento culturale del Paese, c’è da stare poco allegri; ma, non per questo, bisogna avere un atteggiamento rinunciatario!
È solo questione di testa, abilità manageriali e, naturalmente, di tempo.
Bisogna puntare a una controrivoluzione culturale che tenda ad arricchire più che a impoverire la conoscenza e la capacità di intervento delle persone quali primi attori civici ed economici.
In un’epoca in cui il marketing digitale, le neuroscienze e l’intelligenza artificiale dominano su tutto, bisogna approfondirne la conoscenza per rivolgerli a un uso costruttivo e non distruttivo del vivere comunitario.
Non si tratta di imporre un pensiero, ma di fornire alle persone “chiavi di lettura” quanto più oggettive, ampie e profonde possibili, tali da ampliarne la visione per orientare al meglio la vita pubblica e privata, soprattutto nella scelta delle persone e dei movimenti culturali e politici a cui affidare la guida di una delle principali economie al mondo.
Più crescono i gradi di libertà e civiltà di un popolo, più aumentano le insofferenze (e quindi gli stimoli a cambiare, pena il decadimento) verso la classe politica che, se non si adegua, può apparire anacronistica; tanto più una comunità di persone evolve, maggiori sono le probabilità di un non ritorno verso i livelli civici precedenti, tenuto conto anche che una democrazia partecipativa funziona meglio quanto minori sono le asimmetrie culturali ed economiche tra i suoi componenti.
Necessita quindi praticare azioni d’incivilimento dal basso tendenti a ripristinare il normale funzionamento di un Paese la cui vitalità, negli ultimi anni, è stata volutamente e scientificamente resa scialba e “annacquata”, soprattutto attraverso la comunicazione mediatica.
Una operazione auspicabile e proficua per la promozione del territorio e delle persone che lo abitano è quella di creare rapporti operativi più stretti tra Istituti formativi che tradizionalmente si occupano di valori morali di convivenza solidale e Scuole/Associazioni che promuovono imprenditoria giovanile, benessere economico e start-up innovative (con scambio di studenti, docenti, conoscenze e competenze reciproche acquisite).
*Formatosi alla scuola di Luca Meldolesi come economista dello sviluppo, Franco Cioffi è oggi un accreditato esperto delle dinamiche di creazione e riorganizzazione di aziende profit, imprese sociali ed enti di pubblica amministrazione impegnati innescare e governare i processi di cambiamento civico-economico in modalità evolutive solidali e rispettose di persone e ambiente. La Scuola di formazione per giovani imprenditori e manager da lui fondata e diretta ha formato circa 2000 allievi in tutto il Sud Italia (cf www.scuoladimpresadiffusa.it ).