PASQUALE ARCIPRETE – UNA TEOLOGIA PER LA CHIESA LOCALE

DATA DI PUBBLICAZIONE:

Mercoledì 25 settembre 2024 alle ore 16, presso l’Aula Magna “Cardinale A. Capecelatro” dell’ISSR “Ss. Apostoli Pietro e Paolo” di Capua, si presenta il saggio di Marco Pascarella Teologia della Chiesa locale. Dal Vaticano II alla sfida della sinodalità; sono previsti i saluti del Direttore dell’ISSR, rev. prof. Guido Cumerlato, e l’intervento del rev. prof. Dario Vitale, ordinario di Ecclesiologia presso la Pontificia Università “Gregoriana” di Roma; il dibattito sarà moderato dal rev. prof. Agostino Porreca, docente dell’Istituto; a finire, le conclusioni di S. Ecc. mons. Pietro Lagnese, vescovo di Caserta e arcivescovo di Capua, Moderatore dell’ISSR.

Presbitero dell’Arcidiocesi di Capua e docente incaricato di Teologia trinitaria presso il locale ISSR, il prof. Pascarella con il suo volume porta a frutto maturo un lavoro di ricerca che gli è già valso il Dottorato in Teologia Dogmatica presso l’Università “Gregoriana” in Roma; nel saggio, pubblicato dalla prestigiosa casa editrice Cittadella di Assisi, egli rilegge e approfondisce alla luce dell’attualissimo tema della sinodalità la teologia della Chiesa locale emersa nel Concilio Vaticano II e pienamente espressa in un noto e importante passaggio della Lumen Gentium, secondo il quale le Chiese particolari «sono formate ad immagine della Chiesa universale, ed è in esse e a partire da esse che esiste la chiesa cattolica una e unica» (LG, n. 23).  

Le incisive tesi dell’autore sono chiaramente precisate nella Prefazione al volume, curata da S.E. Mons. Erio Castellucci, e nel capitolo conclusivo del saggio. Secondo mons. Castellucci, «l’angolatura della “Chiesa locale” adottata dall’Autore» riesce a intrecciare strettamente la teologia della chiesa particolare con la sinodalità ecclesiale fino a diventare una sorta di «teologia della sinodalità», in grado di illuminare «il legame costitutivo tra quest’ultima e la Chiesa locale» e di esprimerla secondo «un binomio dal quale emergono nuove prospettive» sia per l’azione di singoli membri che di tutti gli organismi ecclesiali; grazie all’approfondimento infatti, non solo diventa chiaro che il concetto di «“sinodalità” non si riferisce soltanto alla celebrazione dei Sinodi (diocesani o generali), ma che essa rappresenta il modus vivendi e operandi della comunità cristiana», e che questa è chiamata a realizzarsi in una antropologia che sia «adesione vera alla persona di Gesù, per poi diventare esperienza di comunione e di corresponsabilità», ovvero espressione di storica esistenza comunitaria. In questo senso, le chiese locali sono il «luogo da cui inizia e in cui termina il processo sinodale. Ne consegue che la Chiesa locale è sede naturale e tappa obbligata della sinodalità. Questo impone una rivisitazione non soltanto dei cosiddetti organismi di partecipazione (indicati dai documenti conciliari e dal diritto), ma anche degli organismi intermedi, sui quali, a differenza dei primi, poco si è detto dal concilio ad oggi» (pp. 6-8).

Il saggio di Pascarella costituisce pertanto una piena esaltazione della sinodalità, la quale pur essendo da sempre «elemento peculiare» della azione ecclesiale, «si rivela oggi costitutivo della Chiesa e delle chiese» (256); è proprio alla luce della categoria “sinodalità” infatti, che emergono la funzione e il ruolo decisivi esercitati dalle chiese particolari, dal laicato, e infine da tutti gli organismi intermedi che operano al fine di incarnare il Vangelo in rinnovate relazioni comunitarie che danno viva risposta alle problematiche inter-relazionali umane. Come scrive Pascarella nelle pagine conclusive del suo lavoro, «il primo livello della sinodalità si realizza nelle chiese particolari» (255) e la sinodalità diventa principio di ecclesiogenesi, dando vita a quel «camminare insieme» che costituisce diretta e immediata «conseguenza che scaturisce dalla fede trinitaria» (256); la comunità sinodale dei credenti diventa così «una realtà viva, organica e poliedrica non più piramidale, in una rinnovata missione ecclesiale che «impegna tutti, secondo modi e tempi differenti» e che realizza la prassi del «discernimento comunitario … esercizio che sottolinea la vocazione dei laici “collaboratori di Cristo” e “cooperatori della gerarchia”» (257) e, proprio come fa la Dottrina sociale della Chiesa riguardo ai corpi intermedi operanti all’interno della socialità umana, attiva ed esalta tutti gli organismi ecclesiali, non solo quelli centrali o “istituzionali”.

La teologia della Chiesa locale delineata da Pascarella si mostra allora rilevante per la stessa origine, vita e mission del nostro Istituto, sin dalla sua nascita fondato sulla collaborazione sinodale di più chiese locali e teso a incarnare con la sua intera attività (e in particolare con la sua rivista TeLa) il messaggio di salvezza evangelico nelle problematiche umane del territorio di Terra di Lavoro. Quando Pascarella afferma che «questo è il momento di rivalutare non solo le chiese locali, ma anche i territori e le loro culture», aggiungendo subito dopo che «la chiesa sinodale potrebbe essere di esempio sul modo di agire e governare anche per altre istituzioni» (257), illumina fondamento e missione di un Istituto che esprime di fatto una antica e modalità di vita ecclesiale che anch’egli giudica meritevole di rinnovata considerazione, quella in cui la Chiesa locale opera in stretto e fraterno «contatto con le chiese viciniori, le quali, insieme, costituiscono una provincia ecclesiastica: la metropolia»: si tratta di un istituto ecclesiale che, a partire dalle figure e dall’azione pastorale dei suoi Vescovi, e grazie anche all’azione dei laici “cooperatori”, prende corpo nella stessa attività dell’Istituto. 

Infine, secondo la prospettiva di Pascarella la sinodalità appare in grado di rispondere al moderno problema di quelle poco accorte figure di laici che improvvisamente diventano “battitori liberi” e che, «per niente formati alla scuola della sinodalità… confondono il ruolo ecclesiale con il loro attivismo, spesso frutto di svariate ideologie»: in questo caso l’Istituto si mostra luogo-occasione in cui si esplica e pratica una «formazione permanente» di una piccola ma operosa comunità cristiana di docenti e discenti, capace di condurli «ad assumere responsabilità ecclesiali in modo maturo e stabile» (262) e diventando minuscola porzione di quella più grande Chiesa che configurandosi sull’esempio di Maria, colei che «“dà corpo a ciò che le è stato donato” (Greshake)» appare impegnata a farsi corpo umano in grado di dare forme terrene a uno Spirito di natura divina (262-3).