I TITOLI MARIANI DELLA SUPPLICA SONO CONFORMI A MATER POPULI FIDELIS

DATA DI PUBBLICAZIONE:

di Giadio De Biasio

Il 4 novembre 2025 il Dicastero per la Dottrina della Fede ha presentato la Nota dottrinale Mater Populi fidelis (acronimo MPF), sulla cooperazione di Maria all’opera della salvezza, chiarendo la terminologia teologica e devozionale di alcuni titoli mariani, in ordine all’unica mediazione redentiva di Cristo.

Tale Nota è stata firmata ed approvata per la pubblicazione da Papa Leone XIV, che così l’ha elevata al rango del suo magistero ordinario, ossia quell’insegnamento autorevole del Romano Pontefice, che, seppur non dogmatico e definitivo, richiede da parte di tutti i fedeli cattolici il religioso assenso dell’intelletto e della volontà (cf. Lumen Gentium, n.25; cf. Codice di Diritto Canonico, nn.750 e 752).

Sulla scia del Concilio Vaticano II, questa Nota dottrinale si concentra sull’unica e singolare “cooperazione” di Maria all’opera della salvezza, ribadendo che Gesù Cristo, Persona divina incarnata, è l’unico Redentore e il “Mediatore tra Dio e gli uomini” (1Tm 2,5).

Infatti, l’opera della Redenzione (come anche l’opera della Creazione) viene teologicamente riferita solo all’azione salvifica del Dio Trinitario.

Pur valorizzando la devozione popolare, MPF mette in guardia da alcuni titoli mariani che non sono presenti nella Sacra Scrittura e nel Deposito della fede: titoli che richiedono spesso ampi chiarimenti, a causa delle diverse interpretazioni teologiche ad essi connesse.

Dopo una attenta riflessione storica e teologica su rapporto tra Maria e la Redenzione di Cristo, Mater Populi fidelis dichiara che: “Considerata la necessità di spiegare il ruolo subordinato di Maria a Cristo nell’opera della Redenzione, è sempre inappropriato usare il titolo di Corredentrice per definire la cooperazione di Maria. Questo titolo rischia di oscurare l’unica mediazione salvifica di Cristo” (MPF, n. 22).

Dunque, bisogna concepire la “cooperazione” di Maria alla Redenzione non come “corredenzione”, ma solo nei termini di “una partecipazione derivata e subordinata”(n. 53), in quanto “la maternità di Maria è subordinata” all’agire salvifico di Dio.

Pur riconoscendo “un carattere unico e singolare”(n. 36) a questa cooperazione, MPF ricorda che: “Il dogma dell’Immacolata Concezione pone in risalto il primato e l’unicità di Cristo nella Redenzione, perché la prima dei redenti è anch’essa redenta da Cristo e trasformata dallo Spirito, prima di qualunque possibilità di un’azione propria.”(n. 14)

A nostro avviso, questo argomento teologico è centrale, perché rimanda al fatto che, prima ancora del fiat nell’Annunciazione, la grazia di Dio abbia operato direttamente su di Lei, riempiendola di una grazia che non solo l’ha preservata dalla colpa di natura del peccato originale[1], ma l’ha anche resa immune da ogni peccato personale attuale, lungo tutta la sua vita, “in vista dei meriti di Gesù Cristo, salvatore del genere umano”[2].

Questa prospettiva risolve gli argomenti dei sostenitori del titolo “Corredentrice”, che spesso elevano Maria all’ordine ipostatico del Verbo incarnato, in virtù del suo essere “Madre di Dio”, ossia una elevazione meta-creaturale, che rischia di essere confusa come una vera ‘deificazione’.

Infatti, lo stesso fiat di Maria viene quasi inteso come una causalità attiva e diretta al darsi della Redenzione, senza chiarire correttamente l’asimmetria ontologica e soteriologica tra la Persona divina del Verbo incarnato, ossia il Dio-uomo, e la creaturalità di Maria, che resta sempre una persona umana.

Ricordiamo che il Magistero non ha mai accolto l’equazione Corredentrice=Cooperatrice[3], perché essa dimentica la complessità di interpretazioni possibili ad essa sottesa. Infatti, Maria non è una ‘dea’ cristiana; è figlia della grazia redentiva di Cristo (Dante diceva “figlia del tuo Figlio”[4]) ed il suo ruolo nella Chiesa è quello di una maternità spirituale nell’ordine dell’intercessione: una maternità che Gesù stesso ha rivelato sulla croce: “Ecco tua madre!” (Gv 19,27).

Dunque, sulla scia di importanti documenti magisteriali su Maria (Lumen Gentium, Marialis cultum, Redemptoris Mater, Redemptor Hominis), Mater Populi fidelis ha scelto di usare il termine “Cooperatrice” per la B.V. Maria (come già S. Agostino[5]) e non “Corredentrice”.

Anche se S. Giovanni Paolo II aveva usato il termine “Corredentrice” sette volte, in alcune Omelie ed Udienze, tale termine poi non compare nelle sue Encicliche e nei documenti specifici sull’argomento. Infatti, ricordiamo che nel Magistero cattolico esiste una gerarchia di importanza tra i documenti di un Pontefice, che comporta un diverso ‘peso specifico’ rispetto ad un insegnamento dottrinale trasmesso.

E se è vero che qualche Santo o Dottore della Chiesa abbia usato il termine “Cooperatrice”, bisogna ricordare anche che ogni ipotesi teologica resta tale, fino a quando non viene ufficialmente recepita dal Magistero cattolico stesso: si pensi, ad esempio, al fatto che S. Agostino, S. Anselmo e S. Tommaso d’Aquino non riconoscevano l’Immacolata concezione di Maria, e che la loro posizione su tale argomento non sia stata mai magisterializzata.

Per MPF anche il titolo di “Mediatrice di tutte le grazie” risulta un termine inadeguato, perché richiede continue spiegazioni: sia per escludere un ruolo attivo nella comunicazione della grazia, propria solo dello Spirito Santo; sia per evitare che Ella possa essere confusa come una tappa obbligata nella elargizione da parte di Dio: anche perché Maria stessa è stata resa da Dio “piena di grazia” (Lc 1,28).

Insomma, MPF ribadisce quanto insegnato dal Concilio che la mediazione di Maria è nell’ordine della intercessione, visto che “la beata Vergine è invocata nella Chiesa con i titoli di avvocata, ausiliatrice, soccorritrice, Mediatrice [per intercessione]. Ciò però va inteso in modo che nulla sia detratto o aggiunto alla dignità e alla efficacia di Cristo, unico Mediatore.” (Lumen Gentium, n. 62).

Tale mediazione unica ed esclusiva di Cristo in ordine alla Redenzione è una rivelazione divina (cf. 1Tm 2,5 ) e come insegna Dominus Iesus “deve essere fermamente creduta la dottrina di fede circa l’unicità dell’economia salvifica voluta da Dio” per cui “Gesù Cristo è il mediatore e il redentore universale”.[6]

Alla luce di questa doverosa premessa, passiamo ad offrire un’analisi teologica dei titoli mariani presenti nella Supplica alla Madonna di Pompei, alla luce dei criteri emersi in Mater Populi fidelis.

Infatti, pur riconoscendo una generale conformità dei titoli mariani della devozione di Pompei con lo spirito e la dottrina del Magistero, è necessaria un’attenzione su alcuni titoli più sensibili.

La Supplica è stata composta nel 1883 da San Bartolo Longo, un laico operatore della carità. Nella sua prima redazione il testo risente di espressioni linguistiche figlie del suo tempo, che hanno richiesto una revisione dopo il Concilio per una sua migliore fruizione.

Nella Supplica Maria viene invocata con vari titoli, che possiamo distinguere in:

1) I titoli della regalità: “Augusta Regina delle Vittorie”, “Regina delle Vittorie”, “Regina del Santo Rosario”, “Sovrana del Cielo e della Terra”. Questi titoli inerenti la regalità e sovranità di Maria, sono legati allo sviluppo del cristianesimo in età post-costantiniana, in cui la Vergine viene rappresentata come una Regina alla destra dell’autorità regale di Cristo Re. Essi si concentrano sulla sua eccelsa dignità di Madre di Dio, di Madre di Cristo Re dell’Universo, e della sua influenza intercessoria, che comunque resta sempre partecipata e subordinata a quella del Figlio.

Altre preghiere mariane si muovono nella stessa direzione: la Salve Regina, l’Ave Regina caelorum e il Regina Caeli. Questi titoli di regalità e sovranità predicati per Maria esprimono la sua gloria in quanto Madre di Dio, e dal punto di vista teologico non sono in contrasto con la Nota MPF.  Infatti, MPF valorizza i titoli che sottolineano proprio la maternità spirituale di Maria e la sua intercessione materna come segno della misericordia del Signore: Maria è dichiarata “Madre del popolo fedele”, “Madre dei credenti”.

2) I titoli dell’auxilium:  Maria è invocata nella Supplica quale “Speranza dei poveri”, “Ausilio dei cristiani”, “Soccorso”, “Avvocata”, “Ausiliatrice”, “Madre della Misericordia”. Questi titoli sono generalmente conformi alla Nota MPF in quanto esprimono l’amore a Maria e la fiducia nella sua intercessione materna. Già il Concilio Vaticano II aveva predicato esplicitamente i titoli di “Avvocata, Ausiliatrice, Soccorritrice, Mediatrice” (Lumen Gentium, n. 62).

3) Il titolo di “Mediatrice”: è accettabile perché esprime una mediazione partecipata, subordinata e materno-spirituale rispetto “all’unico Mediatore Gesù Cristo” (cf. LG, 62) e non una distribuzione indipendente o parallela della grazia stessa. Tale mediazione subordinata non è paragonabile al titolo “Mediatrice di tutte le grazie”, che invece deve essere evitato perché potrebbe essere compreso come un passaggio necessario/obbligato della grazia “attraverso” Maria.

4) Il titolo “Onnipotente per grazia”: è, senza dubbio, il passaggio più delicato della Supplica di Pompei e merita un’analisi teologica approfondita in relazione a MPF.

Il titolo si trova nella Terza invocazione della Supplica del Beato Bartolo Longo: “Voi siete l’Onnipotente per grazia. Voi dunque potete aiutarci.”

Il titolo “Onnipotente”, preso da solo, è un attributo esclusivo di Dio in virtù della sua essenza divina: nel Credo di Nicea (325 d.C.) è predicato propriamente del Padre (“Crediamo in Dio, Padre Onnipotente…”), ma vale anche per le altre Persone divine, visto che “la creazione è opera comune della Santissima Trinità”[7]. Dunque, utilizzare il titolo di “onnipotenza” per Maria significherebbe attribuirle la divinità, il che sarebbe una eresia.

La qualificazione “per grazia”, però, è la chiave teologica che salvaguarda l’ortodossia del titolo.

Il sintagma “Onnipotente per grazia”, significa che l’immensa sua potenza non deriva per natura (ossia dalla sua natura divina), ma è ricevuta interamente per grazia, come un dono, da Dio stesso, in virtù della sua maternità divina e della sua cooperazione al Cristo Redentore.

Siccome Cristo è l’unica fonte di grazia, l’aggiunta “per grazia” subordina in modo esplicito la potenza di Maria a Cristo. Pertanto, il titolo “Onnipotente per grazia” non la pone come fonte parallela o indipendente, ma come canale eminente possibile di una potenza ricevuta.

Questo vuol dire che, in quanto Madre del Figlio di Dio, può ottenere tutto ciò che chiede e nulla Le viene negato dal Figlio: ma sempre per grazia, e mai come un possesso proprio.

Dunque, il titolo “Onnipotente per grazia” si riferisce all’opera di intercessione di Maria, visto che l’intera argomentazione della Supplica che precede questo titolo ne rafforza la subordinazione: “Non ha Gesù riposto nelle vostre mani tutti i tesori delle sue grazie e delle sue misericordie?”

Un esempio di questa “onnipotenza per grazia” emerge nel vangelo giovanneo: “Non hanno vino” e “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”” (Gv, 2,5), evidenziando l’intervento supplice e intercessorio di Maria nei confronti di Gesù.

Insomma, il titolo “Onnipotente per grazia” tributato a Maria è un’espressione iperbolica (legata al linguaggio devozionale forte, già in uso nella Mariologia classica, ad esempio in San Bernardino da Siena e Sant’Alfonso Maria dè Liguori) che esprime l’efficacia del potere di intercessione di Maria, sia connessa alla grazia capitale dell’unione ipostatica, sia in relazione alla sua missione intra-ecclesiale.

Questa specificazione della onnipotenza di Maria per pura grazia, resta un titolo adeguato e conforme alla Mater Populi fidelis, perché essa riflette come “la maternità di Maria nell’ordine della grazia deve essere intesa come dispositiva”, capace di “dispone i cuori all’azione di Cristo nello Spirito Santo.” (MPF, n. 46).

Insomma, la Supplica di Pompei valorizza la mediazione di intercessione di Maria, che è il cuore del suo ruolo di Madre, e non ricade nell’uso di titoli esplicitamente sconsigliati dalla Nota MPF.

In conclusione, nonostante la forte e solenne terminologia, soprattutto dell’espressione “Onnipotente per grazia”, si può ritenere teologicamente come i titoli mariani della Supplica siano conformi allo spirito della Mater populi fidelis, come espressione devozionale lodevole della spiritualità rosariana, introdotta da San Bartolo Longo per il bene della Chiesa.


[1] Per un approfondimento vedi: G. De Biasio, Felix culpa. Il peccato originale in Anselmo d’Aosta e Tommaso d’Aquino. Confronto sul rapporto tra Cristologia e Antropologia, (coll. Aloisiana, n.13), Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2023, pp, 423.

[2] Pio IX, Costituzione apostolica Ineffabilis Deus (8 dicembre 1854)

[3] “La «Corredenzione» non è altro che la cooperazione alla Redenzione.”, G.M. Roschini, Maria Santissima nella storia della salvezza, vol. 2, 121.

[4] Dante Alighieri, Paradiso, XXXIII, 1.

[5] Agostino d’Ippona, De sancta virginitate, 6: PL 40, 399.

[6] Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione “Dominus Iesus”, n. 11. Vedi anche n.13.

[7] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 292.