Il 29 maggio 2024, il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha pubblicato due bandi di concorso per l’assunzione di 6428 insegnanti di religione cattolica nelle scuole di ogni ordine e grado. Questo evento era atteso da oltre vent’anni, visto che si tratta del primo concorso dal 2004. La lunga gestazione di questo processo è ben documentata dagli articoli del 2018 e del 2020 scritti da Massimo Pieggi e Sergio Ventura.
La pubblicazione dei bandi ha scatenato una serie di polemiche che, a mio avviso, derivano dalla scelta di trattare insieme argomenti che invece dovrebbero essere distinti, poiché rispondono a problematiche differenti. Nelle righe seguenti, cercherò di identificare e analizzare due di queste problematiche.
Un problema di semantica
Un primo problema sembra derivare da un fraintendimento di fondo: i giornali e i social parlano di «nuove assunzioni». Questo ha generato una serie di riflessioni critiche che mettono insieme il numero dei posti messi a bando con il leggero, ma costante, calo del numero degli alunni avvalentesi: gli alunni calano e gli insegnanti aumentano? Il fraintendimento è tutto qui: il concorso non ha lo scopo di immettere nella scuola italiana “altri” seimila insegnanti di religione. Stiamo parlando, invece, di quegli insegnanti attivi già da anni che, anche in assenza del concorso, continuerebbero a svolgere il proprio lavoro. Da precari. Pertanto, il bando non si prefigge di aggiungere altre 6000 unità all’organico degli insegnanti di religione, ma prevede, tramite una procedura concorsuale straordinaria, la possibilità di trasformare i contratti da tempo determinato a tempo indeterminato. Si tratta di una misura volta a contrastare una forma di precariato quasi sistemica. Dal 2017 il Ministero ha avviato una serie di procedure e concorsi ordinari e straordinari su tutte le classi di concorso nel tentativo di ridurre o eliminare l’impatto del precariato. Questo è un passo importante verso una maggiore stabilità lavorativa degli insegnanti, che consente loro di pianificare la propria vita senza dover inseguire supplenze in sedi sempre diverse, ma di trovare una stabilità giuridica, lavorativa ed esistenziale. Inoltre, permette alla scuola di contare su un organico più stabile, facilitando la programmazione a medio termine delle attività e dei progetti. Solo gli insegnanti di religione, sin dal 2004, sono stati esclusi da queste procedure e hanno continuato a lavorare nelle scuole con contratti a tempo determinato. Ci sono precari da dieci, quindici, perfino vent’anni. Questo bando, quindi, non aumenta né i posti né le ore di religione previste negli ordinamenti della scuola, ma assicura una parziale regolamentazione giuridica dell’organico già esistente. Parziale, perché, a fronte dei 6000 posti messi a bando, sono più di 16000 gli insegnanti di religione presenti nelle scuole.
IRC e laicità
Un secondo problema riguarda la dimensione laica della scuola italiana, che verrebbe ulteriormente compromessa da questo concorso. Come spero di aver chiarito precedentemente, anche senza il concorso, l’organico degli insegnanti di religione nelle scuole non subirebbe variazioni significative. Tuttavia, il tema della laicità è molto più complesso e dibattuto rispetto alla semplice eliminazione di tutto ciò che appare confessionale dai luoghi pubblici. La laicità della scuola italiana non si risolve solo con l’esclusione delle materie religiose, ma implica una riflessione più profonda su come le questioni religiose siano integrate o presenti nel contesto sociale, culturale, multiculturale italiano e come questa complessità sia qualcosa con cui gli studenti debbano fare i conti. La Repubblica italiana riconosce il valore della cultura religiosa e dei principi del cattolicesimo come patrimonio storico del popolo italiano; d’altro canto, l’Irc si inserisce «nel quadro delle finalità della scuola» che non possono essere altre da quelle riconoscibili nella Costituzione e nella legislazione scolastica. Ragion per cui, come pure riconosciuto e ribadito più volte dalla Corte costituzionale (sulla quale laicamente credo non ci siano o si debbano avere dubbi né di parzialità né di garanzia interpretativa dei principi costituzionali), l’Irc non contrasta con il principio di laicità dello Stato e ne rappresenta, anzi, una forma, una modalità di espressione. Inoltre, all’interno di quel complesso processo di trasformazione del sistema scolastico italiano, l’IRC sembra incrociare perfettamente sia la grande questione delle competenze chiave europee e tutti quei framework delle competenze in costante aggiornamento che riguardano la vita civile, sociale e democratica. Motivo per il quale, contrariamente a quanto si afferma, l’insegnamento della religione è presente in tutti i Paesi europei. Persino in Francia, il tema è tutt’altro che pacifico.
Certo, l’esperienza di molti può essere stata segnata negativamente da insegnanti non del tutto in linea né con l’aggiornamento didattico né con lo standing professionale richiesto. È indubbiamente un problema di selezione del personale su cui chi è deputato al compito dovrà intervenire prima o poi. Tuttavia, le questioni sistemiche non si risolvono con l’aneddotica: anche i docenti delle altre classi di concorso affrontano problematiche simili, senza che ciò comporti una squalifica dell’intero sistema di insegnamento. Temi come la laicità dello Stato, la preparazione generale degli insegnanti di religione o il loro sistema di reclutamento esulano da questo bando di concorso. Sollevare tali questioni in questo contesto risulta strumentale e rischia solo di intorpidire le acque. È fondamentale distinguere tra le necessità immediate di regolamentazione giuridica degli insegnanti di religione e le discussioni più ampie e complesse che riguardano la laicità della scuola e la qualità dell’insegnamento sulle quali occorrerà ritornare. Capisco che al momento non si vedano troppi segnali verso questa direzione, ma approfittare della pubblicazione del bando per mescolare questi temi serve solo a distogliere l’attenzione dai veri obiettivi del concorso e dalla necessità di dare la stabilità a una parte troppo spesso dimenticata del corpo docente.