FESTE RELIGIOSE E NUOVA EVANGELIZZAZIONE

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di Giuseppe Morrone

Le pagine iniziali del libro di Benedetto XVI Introduzione al cristianesimo, facendo una puntuale analisi sulla condizione dell’uomo credente nella società contemporanea, mostrano come il cristiano, confortato e inquietato nello stesso tempo dall’esperienza di fede, ha una vita non tanto comoda, se vuole essere concretamente veicolo di una vera trasformazione e di un possibile rinnovamento nel contesto in cui vive. È decisamente preoccupante, scriveva J. Ratzinger, costatare «un’interpretazione del cristianesimo che non urti più nessuno». La vita del cristiano, tendenzialmente vissuta secondo le istanze del vangelo, invece, deve essere segno tangibile della sconvolgente novità del messaggio evangelico che la Chiesa proclama. Una novità che non bisogna esaurirla nel rito e nel culto, ma va creativamente realizzata negli spazi della socialità, dove si verifica, si testa, l’autentica esperienza di fede di una comunità. Ci chiediamo: che tipo di cristianesimo viene inteso e praticato, se si moltiplicano le varie celebrazioni (messe, processioni, sacramenti…), ma risulta decisamente opaco l’impegno per promuovere un profondo cambiamento della nostra realtà? Com’è possibile che il rivoluzionario messaggio evangelico di speranza per gli infelici, i poveri, gli ultimi, proclamato a parole nelle assemblee e nei momenti di preghiera, non contrasti efficacemente le diffuse e scandalose forme di schiavitù che offendono la dignità delle persone e compromettono lo sviluppo di un territorio? Illegalità, sfruttamento, violenza, corruzione sono piaghe, accettate ormai per fatalità, che la comunità credente deve costantemente attenzionare e combattere, perché la “salvezza” sia integrale per il singolo e per la collettività.

Le feste “religiose” popolari

Una funzione di servizio verso l’umanità, ferita dalle ingiustizie e privata di quei diritti fondamentali, proponendo una nuova forma di evangelizzazione, può essere offerta a partire da una rilettura delle feste religiose popolari, come quelle mariane, che si stanno celebrando nei nostri paesi. Occorre dire una parola chiara: sono manifestazioni che di religioso (nel senso che prima dicevamo) hanno ben poco. Come possono essere definite? Sono celebrazioni che ritornano ciclicamente per una specie di ossequio alla tradizione. Appuntamenti annuali utili per cementare l’appartenenza ad una comunità radicata in un territorio; tenacemente difesi da coloro che possono trarre qualche profitto. C’è chi crede che queste ricorrenze resistano, perché considerate una sorta di oasi di consolazione e conforto, in una realtà dove dilagano ingiustizie, torti, prepotenze. Non vanno dimenticate le devianze, che a volte sembrano contraddire il senso di una festa cristiana. Per esempio, le spese esagerate per cantanti, spettacoli pirotecnici, luminarie, riffe, che riducono le nostre feste religiose agli eventi mondani di massa più che a momenti di preghiera e raccoglimento; la presenza numerica dei fedeli nelle processioni è letta come criterio esclusivo che decreta il “successo” della festa. Per non parlare del devozionismo, fanatico e irrazionalistico atteggiamento di chi venera come un feticcio la statua del santo o l’immagine della madonna e, magari, è indifferente ai bisogni del prossimo, odia i nemici e non paga le tasse!

Il sinodo, cambiare insieme

La Chiesa sta celebrando il sinodo, che rappresenta un’occasione favorevole per discutere insieme e prendere decisioni finalizzate ad un’opera di evangelizzazione, intesa come educazione al vero senso cristiano di una festa, che, come dicevamo, è espressione di uno stile di vita che promuove i valori umani. L’impresa non è semplice. Serve collaborazione tra il clero e il mondo laicale, per purificare la religiosità popolare da elementi che non hanno nulla di cristiano e che anzi contribuiscono a confondere le coscienze. È necessaria una presa di posizione chiara e univoca, per indicare, con scelte concrete e coraggiose, quella strada che conduce alla maturità umana e cristiana. Forse è questo l’obbiettivo che si è perso di vista e che, chiaramente, la decisione e la determinazione di voler cambiare sono depotenziate, mentre dominano incontrastate l’atavica rassegnazione e la logica, da queste parti molto diffusa, di gestire l’esistente senza alcuna prospettiva di reale rinnovamento. Le nostre feste religiose hanno senso unicamente se ci aiutano a incontrare Cristo, che, in termini di cristianesimo autenticamente vissuto, significa crescere come uomini in grado di spendere la propria vita per i valori e gli ideali che realizzano spazi di bontà, che inaugurano nuove logiche di relazioni e di amicizia. Si realizzerà questo se nelle piazze e nelle chiese, al posto del grido isterico ‘viva Maria!’, sentiremo quelli più accorati e veri: ‘viva la legalità!’, ‘mai più pizzo!’, ‘lavoro onesto!’