Il giorno 15 maggio 2023, presso l’Aula magna “A. Capocelatro” dell’Istituto Superiore di Scienze
Religione interdiocesano “Ss. Apostoli Pietro e Paolo” – Area Casertana, si è svolta la
presentazione del volume «MaDonne. Madre e vita in Terra di Lavoro», a cura dei proff.
Francesco Duonnolo e Battista Marello, con foto del maestro Benedetto Cristillo. Alla presenza
dell’arcivescovo di Capua S.E. mons. Salvatore Visco, sono intervenuti i proff. Antonio Ianniello,
docente di Storia della Chiesa presso l’ISSR casertano, Jean Paul Hernandez, S.J., direttore della
Scuola di alta formazione in Arte e Teologia della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia
Meridionale. L’incontro è stato moderato dal prof. Antonio Salvatore Romano.
Riportiamo qui il testo revisionato della relazione introduttiva del Direttore dell’ISSR, rev. prof.
Guido Cumerlato.
Parlare della Madre di Gesù è l’occasione propizia di intessere le lodi a Colei che dalla Chiesa è
considerata un dato essenziale della nostra fede cristiana. Ella, difatti, non è da considerarsi quale
“accidente”, ma sostanza prima del credo. E questo porta, nella pietà cristiana mariana, una nota
positiva: ogni rappresentazione materna di lei non può essere valutata come una suppellettile da
decoro per qualche parete di lustri edifici sacri o per uso privato. Nulla di questo. L’intero popolo di
Dio ha considerato da sempre Maria quale soggetto vivo nel mistero di Cristo e della Chiesa, in
quanto, per beneplacito divino, ella venne chiamata in causa a cooperare attivamente all’evento
dell’incarnazione del Figlio. Questo l’ha resa madre di Cristo e madre di ognuno di noi. In questa
prospettiva liturgico-teologico-pastorale è da leggere il testo «MaDonne».
La prima considerazione positiva da fare, rispetto al volume, è che esso rappresenta un dono
prezioso “sinodale” per le sei diocesi di Terra di Lavoro. In un tempo in cui la Chiesa intera parla di
cammino sinodale, è proposto un volume sulle immagini mariane che ha saputo coinvolgere sei
Chiese locali: Aversa, Caserta, Capua, Alife-Caiazzo, Teano-Calvi e Sessa Aurunca. Nel prendere
in mano il testo, risulta chiaro come coloro che hanno lavorato per la pubblicazione hanno saputo
«camminare insieme», nel rispetto delle competenze di ognuno. Questo testimonia come sia
possibile lavorare in comunione per il bene ecclesiale, cooperando per la saluta pastorale della pietà
mariana. Questa nota quanto mai positiva è avvalorata dal ringraziamento di Paola Coniglio
(Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per la provincia di Caserta e di Benevento), la
quale afferma: attraverso questa ricerca iconografica «il lettore può viaggiare idealmente alla
scoperta di alcuni tra i brani dipinti più significativi di un territorio ricchissimo di testimonianze
figurative d’ogni sorta, e su cui resta ancora molto da indagare».
Il valore liturgico, teologico e pastorale di tutto l’itinerario proposto è quanto mai singolare: nel
presentare una raccolta fotografica di immagini su Maria, viene professato come ella deve essere
compresa nel Mistero di Cristo. Il testo «MaDonne», in forma semplice, riconosce questa verità:
Maria è la madre di Cristo, in quanto sua “gestante”. Se la si vuol comprendere, deve essere
riscoperta sempre relativa al Cristo. Questo è ciò che viene raffigurato nelle immagini riportate.
Gesù compare sovente come il bambino regale, tenuto dal braccio destro o sinistro dalla madre. Ella
sembra che se ne rallegri, anche se rivolge il suo sguardo al piccolo con una certa austerità.
Interessante, poi, è costatare come il baricentro di ogni immagine mariana riportata sia il Figlio, il
quale compare a figura piena, con abiti regali e coronato da un’aureola dorata.
A commento di quanto stiamo dicendo, citiamo quanto i Padri Conciliari scrissero nella
Costituzione Dogmatica «Lumen gentium», al capitolo VIII. Mentre la Chiesa intera veniva a
ripensare la figura di Maria, essi dichiararono: «Maria Vergine, la quale all’annunzio dell’angelo
accolse nel cuore e nel corpo il Verbo di Dio e portò la vita al mondo, è riconosciuta e onorata come
vera Madre di Dio e Redentore. Redenta in modo eminente in vista dei meriti del Figlio suo e a lui
unita da uno stretto e indissolubile vincolo, è insignita del sommo ufficio e dignità di Madre del
Figlio di Dio, ed è perciò figlia prediletta del Padre e tempio dello Spirito Santo; per il quale dono di grazia eccezionale precede di gran lunga tutte le altre creature, celesti e terrestri. Insieme però,
quale discendente di Adamo, è congiunta con tutti gli uomini bisognosi di salvezza; anzi, è
«veramente Madre delle membra [di Cristo] perché cooperò con la carità alla nascita dei fedeli della
Chiesa, i quali di quel capo sono le membra» (LG n. 53).
Da una lettura veloce del testo conciliare è possibile dedurre che la Chiesa venera Maria quale
creatura che redenta viene, per grazia, ad essere la Madre del Cristo. Dalle prime righe del numero
53 di «Lumen gentium» si apprende che ella è «sì» la «vergine», ma donna «ordinaria», impegnata
con Giuseppe, uomo giusto. Quale sua sposa, per intervento dello Spirito, si ritrova madre di Gesù.
Il suo grembo viene ad accogliere la Vita, dandola alla luce in una stalla a Betlemme. Alla luce di
questo, i Padri Conciliari giustamente la riconoscono «Madre del Verbo». In lei egli prende dimora.
Le icone mariane la ritraggono, per questo, quale «Grande Signora», in quanto tiene regalmente il
Figlio che dai lei ha assunto la nostra natura umana. Il testo «MaDonne» rammenta proprio questo:
ella è la Madre di Dio, la «Theo-tokos». Commenta il mariologo R. Laurentin: «Il termine greco
significa alla lettera “Colei che ha partorito Dio, Theo”. Il suffisso tokos, usato per formare più di
100 parole greche, era di uso comune per i medici e i biologi. Equivale al nostro suffisso par che
indica il partorire […]. Theo-tokos riunisce paradossalmente ciò che vi è di più divino e di più
animale nell’Incarnazione: Dio e il parto, il nascere nel mondo più realistico, più materiale, più
violento [e anche più misterioso, più affascinante, più bello]» (R. Laurentin, Un anno di grazia con
Maria. La sua storia, il dogma, la sua presenza, Queriniana, Brescia 1987, 86).
Ciò che ripugnava ai Greci, per i quali Dio era l’Immutabile, l’Incorruttibile, l’Impassibile, ora è
presentato «bambino». Dio, per suo volere, si fa prossimo a noi, assumendo la carne. Ecco come
Dio si fa coinvolgere «in un parto [che da molti] sembrava fuorviante e blasfemo» (Idem). La storia
ci ricorda che il patriarca Nestorio fu tra quelli che non volle riconoscere la Vergine «Madre di
Dio». Difatti, egli combatté fortemente questo termine, scegliendo soltanto di invocarla quale
«Madre di Cristo». La questione, ovviamente, fu risolta dal patriarca Cirillo d’Alessandria e da ciò
che definì il Concilio di Efeso (431). In quella sede, i Padri conciliari riconobbero Maria quale
«Gestante dell’Eterno Dio»: «E’ davvero lui che è nato, [quindi] ha sofferto, è morto in Persona,
secondo l’umanità» (idem). Ed ecco ciò che le immagini mariane della maternità divina di Maria
vengono a confessare: «Il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14).
Vi è un altro aspetto che le immagini mariane riportate in «MaDonne» dicono. Mentre viene
proposta Maria quale Madre di quel bambino tenero che, ora, è tenuto regalmente sulle ginocchia e,
ora, si vede attaccato al seno per ricevere il latte materno, è ricordato al fedele che tra la Madre e il
Figlio viene a istaurarsi una relazione unica e singolare, diremmo vitale. Ella lo cura, le dona il
latte, lo educa, lo pone al suo seno, dandole il suo «calore umano e la sua tenerezza». Purtroppo,
questo aspetto troppe volte è messo al margine ma compare nelle raffigurazioni materne di Maria.
«La madre risveglia […] la psicologia del piccolo uomo [Gesù], ed in tal modo lo umanizza. Egli
impara a vedere in lei il suo primo contatto umano, colei che l’ha formato e che lo ama. Ella gli
insegna, abbiamo detto, a sorridere e a parlare. Gli insegna ad amare concretamente, con le
esigenze, le frustrazioni momentanee, gli slanci e le scelte dell’amore. Tutto ciò si realizza
attraverso dei contatti fisici, ad iniziare dalla nutrizione, dalla poppata, esperienza intensa per la
madre e per il bambino» (ibidem, 87). In questo modo, attraverso di lei, il Figlio di Dio «imparò
l’umanità, esperienza nuova per Dio» (ibidem).
Terminiamo con un riferimento diretto a quanto scrive papa Francesco: oggi, più di ieri, è
necessario riscoprire «questa» Maria, la «Madre di Dio». Ciò è un legame prezioso da risignificare
nella propria ed altrui storia, scoprendo come ella sia veramente anche «madre di ciascuno di noi».
Il pontefice, così, continua: il titolo di «Madre di Dio» «è il titolo principale ed essenziale della
Madonna. Si tratta di una qualità, di un ruolo che la fede del popolo cristiano, nella sua tenera e
genuina devozione per la mamma celeste, ha percepito da sempre» (Papa Francesco, «È mia madre.
Incontri con Maria», Città Nuova, Roma 2018, 239).
Quindi, ognuno è invitato a ritrovarsela quale «mamma». Ella è affidata a noi dal Figlio morente:
«Donna ecco tuo Figlio; Figlio ecco tua Madre» (Gv 19, 25-27). Ella va concretamente accolta in «casa», nel proprio cuore, sapendo che la sua funzione materno-ministeriale onora il Figlio e la
Chiesa intera. Lei, non lo si dimentichi mai, non «è capace di portarci in braccio» (ibidem, 263)
come ha fatto con suo figlio Gesù. Ella non teme e tantomeno viene meno. Preoccupata per il nostro
benessere spirituale, ella teneramente muove i suoi passi, soccorrendo i nostri bisogni spirituali e
materiali. Con questo, giustamente, Maria va considerata quale «donna del popolo. Ha amato Gesù
[…] e deve essere amata così come la ama il popolo» (ibidem, 266), perché «Lei è mia mamma»
(ibidem, 301). «Forse è l’unica persona [afferma ancora il pontefice] con cui ho il coraggio di
piangere. Perché sono duro. Non piango di solito […]. Ma con la madonna, sì, l’ho fatto. Lei lo sa.
Sento che con lei posso piangere…» (idem).
Di prassi quando si termina una relazione o si tratteggia un traguardo raggiunto o si apre la porta ad
altre questioni. Preferendo la seconda alternativa, suggeriamo di prendere in mano il testo
«MaDonne» tenendo presente che coloro che hanno dipinto le immagini mariane nel tempo erano
persone che «credevano». Questo richiede di riscoprirle in un ambito propriamente «liturgico». Con
esse, difatti, si è invitati a pregare, riscoprendo come la «persona» di Maria sia un soggetto vivo
nella Chiesa e nelle storie di ciascuno. Ecco motivato il perché dinanzi ad ogni immagine mariana
non è possibile rimanere «freddi». Lì è rappresentata una mamma che ha dato la vita al Cristo e che
è intenzionata a soccorrere le necessità di ognuno, a costo della sua vita. Ricordiamo, a tal riguardo,
quanto papa Paolo VI disse, alla chiusura dei lavori conciliari, mentre riconosceva Maria «Madre
della Chiesa»: «Dobbiamo soprattutto, a Noi pare, cercare di comprendere nuovamente le ragioni
della nostra venerazione e della nostra fiducia verso la Madonna. Ne abbiamo bisogno? Sì, tutti ne
abbiamo bisogno. Bisogno e dovere. Questo momento prezioso deve segnare un punto di illuminata
ripresa, per tutti, della nostra venerazione a Maria, di quella speciale venerazione cattolica alla
Madre di Cristo, che a lei è dovuta e che costituisce un presidio speciale, un conforto sincero, una
speranza singolare della nostra vita religiosa, morale e cristiana. Perché, oggi, che cosa è avvenuto?
È avvenuto, fra i tanti sconvolgimenti spirituali, anche questo: che la devozione alla Madonna non
trova sempre i nostri animi così disposti, così inclini, così contenti alla sua intima e cordiale
professione com’era un tempo. Siamo noi oggi così devoti a Maria come lo era fino a ieri il clero ed
il buon popolo cristiano? Ovvero siamo oggi più tiepidi, più indifferenti? Una mentalità profana,
uno spirito critico hanno forse reso meno spontanea, meno convinta la nostra pietà verso la
Madonna? Noi non vogliamo ora cercare i motivi di questa eventuale diminuita devozione, di
questa pericolosa esitazione. Noi vogliamo adesso piuttosto ricordare i motivi della nostra
obbligazione verso il culto di Maria Santissima, che sono validi oggi come, e più, di ieri. Non ci
riferiamo ora alle forme di questo culto, ma piuttosto alle ragioni, che lo giustificano e che devono
farcelo più che mai apprezzare e praticare: è ciò che ha fatto, a questo proposito, con magnifiche
pagine, il recente Concilio Ecumenico» (Paolo VI, «Omelia del Santo Padre Paolo VI», Cagliari, 24
aprile 1970).
Nella fede di un popolo che crede ancor oggi, si tenga presente come le immagini siano un invito
forte a ri-motivare il credo cristiano. La venerazione a Maria non distoglie né ottenebra l’unica
adorazione al Figlio Gesù. Al contrario, la rinvigorisce in quanto in essa è fondata. San Luigi Maria
Grignon da Monfort, proprio per questo, esortava i suoi devoti a usare ogni risorsa ed arte per
devotamente proporla al mondo, in quanto la vera devozione si esprime attraverso «immagini» che
producono soltanto del bene nella «carità» (cf L.M. Grignon da Monfort, «Trattato della vera
devozione alla Santa Vergine e il Segreto di Maria», Paoline, Cinisello Balsamo 1987, 122).